La scrittura cristiana AT - NT
LE SACRE SCRITTURE DEL POPOLO EBRAICO - PARTE FONDAMENTALE DELLA BIBBIA CRISTIANA
È soprattutto la sua origine storica che lega la comunità dei cristiani al popolo ebraico. Infatti, colui nel quale essa pone la sua fede, Gesù di Nazaret, è un figlio di questo popolo; così come lo sono i Dodici che egli ha scelto perché « stessero con lui e per mandarli a predicare » (Mc 3,14). All'inizio la predicazione apostolica si rivolgeva solo agli ebrei e ai proseliti, pagani associati alla comunità ebraica (cf At 2,11). Il cristianesimo è quindi nato in seno al giudaismo del I secolo. Poi se ne è progressivamente distaccato, ma la Chiesa non ha mai potuto dimenticare le sue radici ebraiche, attestate in modo chiaro nel Nuovo Testamento, riconoscendo perfino agli ebrei una priorità, perché il vangelo è una « forza divina per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco » (Rm 1,16).
Una manifestazione sempre attuale di questo legame di origine consiste nell'accettazione, da parte dei cristiani, della sacre Scritture del popolo ebraico come Parola di Dio rivolta anche a loro. La Chiesa ha infatti accolto come ispirati da Dio tutti gli scritti contenuti sia nella Bibbia ebraica che nella Bibbia greca. L'appellativo di « Antico Testamento », dato a questo insieme di scritti, è un'espressione coniata dall'apostolo Paolo per indicare gli scritti attribuiti a Mosè (cf 2 Cor 3,14-15). Il suo significato si ampliò poi nel corso del II secolo e fu applicato ad altre Scritture del popolo ebraico, in ebraico, aramaico e greco. L'appellativo di « Nuovo Testamento » proviene invece da un oracolo del libro di Geremia che annuncia una « nuova alleanza » (Ger 31,31), espressione diventata, nel greco dei Settanta, « nuova disposizione », « nuovo testamento » (kainē diathēkē). L'oracolo annunciava il progetto di Dio di stipulare una nuova alleanza. La fede cristiana, con l'istituzione dell'eucaristia, vede questa promessa realizzata nel mistero del Cristo Gesù (cf 1 Cor 11,25; Eb 9,15). Di conseguenza, venne chiamato « Nuovo Testamento » un insieme di scritti che esprimono la fede della Chiesa nella sua novità. Già da solo questo appellativo manifesta l'esistenza di rapporti con l'« Antico Testamento ».
Il Nuovo Testamento riconosce l'autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico
Gli scritti del Nuovo Testamento non si presentano mai come una assoluta novità, ma si mostrano, al contrario, solidamente radicati nella lunga esperienza religiosa del popolo d'Israele, esperienza registrata sotto diverse forme in alcuni libri sacri, che costituiscono le Scritture del popolo ebraico. Il Nuovo Testamento riconosce ad essi un'autorità divina; riconoscimento che si manifesta in molti modi, più o meno espliciti.
Temi fondamentali delle scritture del popolo ebraico e loro accoglienza nella fede in cristo
Alle Scritture del popolo ebraico, da essa ricevute come autentica Parola di Dio, la Chiesa cristiana ha unito altre Scritture, che esprimono la sua fede in Gesù, il Cristo. Di conseguenza, la Bibbia cristiana non comprende un « Testamento » unico, ma due « Testamenti », l'Antico e il Nuovo, che intrattengono tra loro rapporti complessi, dialettici. Per farsi un'idea corretta delle relazioni tra la Chiesa cristiana e il popolo ebraico, è indispensabile lo studio di questi rapporti, la cui comprensione è mutata col tempo. Questo capitolo presenta prima una visione d'insieme di queste variazioni per poi soffermarsi su uno studio più preciso di temi fondamentali, comuni all'uno e all'altro Testamento.
Definendo le Scritture del popolo ebraico « Antico Testamento », la Chiesa non ha voluto affatto suggerire che esse siano superate e che se ne potesse ormai fare a meno. Al contrario, essa ha sempre affermato che Antico Testamento e Nuovo Testamento sono inseparabili. Il loro primo rapporto sta proprio in questa inseparabilità. Quando, all'inizio del II secolo, Marcione voleva rifiutare l'Antico Testamento, si scontrò con una totale opposizione da parte della Chiesa post-apostolica. Il rifiuto dell'Antico Testamento portava del resto Marcione a respingere anche gran parte del Nuovo — accettava solo il vangelo di Luca e una parte delle lettere di Paolo —, il che dimostrava chiaramente che la sua posizione era insostenibile. È alla luce dell'Antico Testamento che il Nuovo comprende la vita, la morte e la glorificazione di Gesù (cf 1 Cor 15,3-4).
Ma il rapporto è reciproco: da una parte, il Nuovo Testamento richiede di essere letto alla luce dell'Antico, ma, dall'altra, invita a « rileggere » l'Antico alla luce di Cristo Gesù (cf Lc 24,45). Come è stata fatta questa « rilettura »? Essa si è estesa a « tutte le Scritture (Lc 24,27), a « tutte le cose scritte nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi » (24,44), ma il Nuovo Testamento ci presenta solo un numero limitato di esempi, senza formulare una teoria metodologica.
Gli esempi forniti dimostrano che venivano utilizzati diversi metodi, presi, come abbiamo visto sopra, dalla cultura del mondo circostante. I testi parlano di tipologia e di lettura alla luce dello Spirito (2 Cor 3,14-17), suggerendo l'idea di un duplice livello di lettura, quello del senso originario, percepibile in un primo tempo, e quello di una interpretazione ulteriore, rivelata alla luce di Cristo.
Nel giudaismo era abituale fare certe riletture. Era lo stesso Antico Testamento a mettere su questa strada. C'era, ad esempio, la rilettura dell'episodio della manna; non si negava il dato originario, ma se ne approfondiva il senso vedendo nella manna il simbolo della Parola con cui Dio nutre continuamente il suo popolo (cf Dt 8,2-3). I libri delle Cronache sono una rilettura del libro della Genesi e dei libri di Samuele e dei Re. Lo specifico nella rilettura cristiana è che viene fatta — come abbiamo appena ricordato — alla luce del Cristo.
I. Istanza metodologica
È stato detto in modo provocatorio, ma sollevando un problema reale, che la storia dell'esegesi non esiste: esistono invece i sistemi di pensiero dei vari gruppi cristiani antichi, che si servono di elementi scritturistici per produrre proprie idee e convinzioni. Alla base di questa affermazione c'è la preoccupazione di non confondere l'esegesi praticata dagli antichi con quella del metodo storico-critico assunta in epoca moderna, nonché il timore che si possano assumere i metodi e le soluzioni di quel modo di fare esegesi come alternative e più valide rispetto al metodo storico-critico.
In altri termini, il problema sollevato è quello generalissimo del rapporto fra testo scritto e lettore. Consapevoli di questa problematica più vasta utilizziamo precisamente il metodo storico-critico per leggere i testi antichi a partire dai loro presupposti culturali. In tale prospettiva le opere cristiane del I e II secolo vanno lette accostandole alle opere non cristiane della loro epoca: altrimenti, se le si legge isolatamente, se ne ha una visione teologica (per
giunta propria della teologia dei nostri tempi) e non storica. Il confronto, ad esempio, fra il racconto evangelico della lavanda dei piedi e il romanzo di Esopo, il quale chiarisce il significato particolare del Léntion cinto da Gesù prima della lavanda, è indicativo della possibilità di attingere, attraverso l'interazione fra testi diversi di una stessa epoca, ai presupposti culturali impliciti in un testo specifico.
2. Cos'è la Scrittura?
Si è sottolineato che, fino a larga parte del II secolo, per i cristiani l'unica Scrittura era quella ebraica. Per un bel pezzo i cristiani hanno fatto a meno del NT, e la stessa distinzione fra AT e NT, inevitabile nell'uso pratico, è da introdurre ogni volta con estrema cautela, nella consapevolezza dell'ipoteca ideologica della dicitura. Ma il problema è passibile di un ulteriore allargamento. Infatti al concetto di testo ispirato, che i cristiani avevano, non corrisponde quel testo determinato, la Bibbia, neppure la sezione veterotestamentaria, che potremmo avere in mente noi moderni. Giustino, ad esempio, considera ugualmente grafé, i Settanta (di cui dice a Trifone: la vostra Scrittura) e le raccolte di testimonia (di cui dice: la nostra Scrittura). In quanto ai testimonia, sembra doversi abbandonare l'idea che siano raccolte assemblate con una relativa facilità e immediatezza dai cristiani per
mostrare la messianicità di Cristo: la loro formazione presuppone invece una concezione teologica sufficientemente sviluppata.
Bisogna tener presente che tali raccolte sono sempre e solo un supporto all'oralità. L'uomo antico generalmente prescindeva dallo scritto, essendo la sua cultura ancora prevalentemente orale.
È così che spieghiamo come un'ideologia già articolata possa servirsi di testi scritti come semplice supporto.
3. Rapporto Scrittura/canone
Bisogna distinguere la ricezione della Scrittura prima e dopo il canone. Infatti il canone influenza la comprensione della Scrittura imponendo una mentalità concordistica. In un certo senso si potrebbe dire che esso limita l'autorità della Scrittura, perché la subordina all'idea teologica che ha portato alla sua costituzione. Si pensi alla differenza fra il canone marcionita e quello cattolico. Marcione aveva bisogno di uno strumento da contrapporre alla Scrittura. Quindi ha creato il NT perché si rendesse evidente l'opposizione all'AT. Quando i cattolici elaborano il loro NT lo scopo è perfettamente opposto: quello di avallare l’AT mediante il NT. Anche se non sappiamo nulla dei criteri che hanno presieduto alla formazione del canone neotestamentario, è indubbia una teologizzazione notevole nelle scelte operate, nella misura in cui la sua funzione è polemica nei confronti di Marcione.
4. I presupposti ermeneutici dell'interpretazione
Per lo storico dell'esegesi cristiana antica risulta importante individuare di volta in volta i presupposti ermeneutici dell'interpretazione. Per gli gnostici questi dovranno essere individuati nella convinzione che nella Scrittura è contenuto in qualche modo il racconto del proprio Io divino imprigionato nella materia. Per i cristiani non gnostici presupposto ermeneutico è la convinzione che nella Scrittura è contenuto l'annuncio di Cristo c della chiesa.
Ma la diversità è più apparente che reale; infatti per lo gnostico la sostanza divina caduta e frammentata nel mondo materiale è parte del mondo divino stesso. Il redentore è quindi consustanziale al redento. In fondo, secondo gli gnostici, il protagonista nascosto è sempre il Logos. Dunque si possono ricondurre i presupposti ermeneutici ad un'unità di fondo, anche se permangono, a un diverso livello ideologico, le differenze date dalle diverse comprensioni di Cristo Logos medesimo.
5. Storia dell'esegesi e storia della ricezione della Scrittura
Si è individuata la necessità di definire l'esegesi come una fra le diverse modalità di ricezione della Scrittura. Se diamo all'esegesi il significato di "commento" a un testo più o meno vasto, dobbiamo riconoscere che storicamente essa fu uno dei modi di appropriazione di quel patrimonio che da un certo momento in poi divenne disputato: la Scrittura. Per fare emergere infatti dalla Scrittura antica quel messaggio che si era convinti essa contenesse in nuce, a un certo punto venne abbandonato il fenomeno, riscontrabile ancora in Barnaba e negli gnostici, della ri-scrittura del testo scritturistico. L'appropriazione allora di quel patrimonio, che solo gli ebrei potevano sentire come immediatamente proprio perché riguardava in maniera diretta la loro storia e la loro identità, passa attraverso la costituzione di una nuova Scrittura, cioè attraverso il progressivo affiancarsi di un secondo corpus che sorregga il primo. Ma contemporaneamente a questa nuova creazione letteraria prende piede l'esegesi scritturistica: sarà allora la lettura tipologica, nel II e III secolo, a costituire la via maestra per raggiungere il Cristo implicito nell'AT.
Tratto da: La Bibbia nelle comunità antiche
Bilancio e prospettive di un'esperienza formativa
a cura di Laura Carnevale
Consulta anche: http://www.laparola.net/
LE SACRE SCRITTURE DEL POPOLO EBRAICO - PARTE FONDAMENTALE DELLA BIBBIA CRISTIANA
È soprattutto la sua origine storica che lega la comunità dei cristiani al popolo ebraico. Infatti, colui nel quale essa pone la sua fede, Gesù di Nazaret, è un figlio di questo popolo; così come lo sono i Dodici che egli ha scelto perché « stessero con lui e per mandarli a predicare » (Mc 3,14). All'inizio la predicazione apostolica si rivolgeva solo agli ebrei e ai proseliti, pagani associati alla comunità ebraica (cf At 2,11). Il cristianesimo è quindi nato in seno al giudaismo del I secolo. Poi se ne è progressivamente distaccato, ma la Chiesa non ha mai potuto dimenticare le sue radici ebraiche, attestate in modo chiaro nel Nuovo Testamento, riconoscendo perfino agli ebrei una priorità, perché il vangelo è una « forza divina per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco » (Rm 1,16).
Una manifestazione sempre attuale di questo legame di origine consiste nell'accettazione, da parte dei cristiani, della sacre Scritture del popolo ebraico come Parola di Dio rivolta anche a loro. La Chiesa ha infatti accolto come ispirati da Dio tutti gli scritti contenuti sia nella Bibbia ebraica che nella Bibbia greca. L'appellativo di « Antico Testamento », dato a questo insieme di scritti, è un'espressione coniata dall'apostolo Paolo per indicare gli scritti attribuiti a Mosè (cf 2 Cor 3,14-15). Il suo significato si ampliò poi nel corso del II secolo e fu applicato ad altre Scritture del popolo ebraico, in ebraico, aramaico e greco. L'appellativo di « Nuovo Testamento » proviene invece da un oracolo del libro di Geremia che annuncia una « nuova alleanza » (Ger 31,31), espressione diventata, nel greco dei Settanta, « nuova disposizione », « nuovo testamento » (kainē diathēkē). L'oracolo annunciava il progetto di Dio di stipulare una nuova alleanza. La fede cristiana, con l'istituzione dell'eucaristia, vede questa promessa realizzata nel mistero del Cristo Gesù (cf 1 Cor 11,25; Eb 9,15). Di conseguenza, venne chiamato « Nuovo Testamento » un insieme di scritti che esprimono la fede della Chiesa nella sua novità. Già da solo questo appellativo manifesta l'esistenza di rapporti con l'« Antico Testamento ».
Il Nuovo Testamento riconosce l'autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico
Gli scritti del Nuovo Testamento non si presentano mai come una assoluta novità, ma si mostrano, al contrario, solidamente radicati nella lunga esperienza religiosa del popolo d'Israele, esperienza registrata sotto diverse forme in alcuni libri sacri, che costituiscono le Scritture del popolo ebraico. Il Nuovo Testamento riconosce ad essi un'autorità divina; riconoscimento che si manifesta in molti modi, più o meno espliciti.
Temi fondamentali delle scritture del popolo ebraico e loro accoglienza nella fede in cristo
Alle Scritture del popolo ebraico, da essa ricevute come autentica Parola di Dio, la Chiesa cristiana ha unito altre Scritture, che esprimono la sua fede in Gesù, il Cristo. Di conseguenza, la Bibbia cristiana non comprende un « Testamento » unico, ma due « Testamenti », l'Antico e il Nuovo, che intrattengono tra loro rapporti complessi, dialettici. Per farsi un'idea corretta delle relazioni tra la Chiesa cristiana e il popolo ebraico, è indispensabile lo studio di questi rapporti, la cui comprensione è mutata col tempo. Questo capitolo presenta prima una visione d'insieme di queste variazioni per poi soffermarsi su uno studio più preciso di temi fondamentali, comuni all'uno e all'altro Testamento.
Definendo le Scritture del popolo ebraico « Antico Testamento », la Chiesa non ha voluto affatto suggerire che esse siano superate e che se ne potesse ormai fare a meno. Al contrario, essa ha sempre affermato che Antico Testamento e Nuovo Testamento sono inseparabili. Il loro primo rapporto sta proprio in questa inseparabilità. Quando, all'inizio del II secolo, Marcione voleva rifiutare l'Antico Testamento, si scontrò con una totale opposizione da parte della Chiesa post-apostolica. Il rifiuto dell'Antico Testamento portava del resto Marcione a respingere anche gran parte del Nuovo — accettava solo il vangelo di Luca e una parte delle lettere di Paolo —, il che dimostrava chiaramente che la sua posizione era insostenibile. È alla luce dell'Antico Testamento che il Nuovo comprende la vita, la morte e la glorificazione di Gesù (cf 1 Cor 15,3-4).
Ma il rapporto è reciproco: da una parte, il Nuovo Testamento richiede di essere letto alla luce dell'Antico, ma, dall'altra, invita a « rileggere » l'Antico alla luce di Cristo Gesù (cf Lc 24,45). Come è stata fatta questa « rilettura »? Essa si è estesa a « tutte le Scritture (Lc 24,27), a « tutte le cose scritte nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi » (24,44), ma il Nuovo Testamento ci presenta solo un numero limitato di esempi, senza formulare una teoria metodologica.
Gli esempi forniti dimostrano che venivano utilizzati diversi metodi, presi, come abbiamo visto sopra, dalla cultura del mondo circostante. I testi parlano di tipologia e di lettura alla luce dello Spirito (2 Cor 3,14-17), suggerendo l'idea di un duplice livello di lettura, quello del senso originario, percepibile in un primo tempo, e quello di una interpretazione ulteriore, rivelata alla luce di Cristo.
Nel giudaismo era abituale fare certe riletture. Era lo stesso Antico Testamento a mettere su questa strada. C'era, ad esempio, la rilettura dell'episodio della manna; non si negava il dato originario, ma se ne approfondiva il senso vedendo nella manna il simbolo della Parola con cui Dio nutre continuamente il suo popolo (cf Dt 8,2-3). I libri delle Cronache sono una rilettura del libro della Genesi e dei libri di Samuele e dei Re. Lo specifico nella rilettura cristiana è che viene fatta — come abbiamo appena ricordato — alla luce del Cristo.
I. Istanza metodologica
È stato detto in modo provocatorio, ma sollevando un problema reale, che la storia dell'esegesi non esiste: esistono invece i sistemi di pensiero dei vari gruppi cristiani antichi, che si servono di elementi scritturistici per produrre proprie idee e convinzioni. Alla base di questa affermazione c'è la preoccupazione di non confondere l'esegesi praticata dagli antichi con quella del metodo storico-critico assunta in epoca moderna, nonché il timore che si possano assumere i metodi e le soluzioni di quel modo di fare esegesi come alternative e più valide rispetto al metodo storico-critico.
In altri termini, il problema sollevato è quello generalissimo del rapporto fra testo scritto e lettore. Consapevoli di questa problematica più vasta utilizziamo precisamente il metodo storico-critico per leggere i testi antichi a partire dai loro presupposti culturali. In tale prospettiva le opere cristiane del I e II secolo vanno lette accostandole alle opere non cristiane della loro epoca: altrimenti, se le si legge isolatamente, se ne ha una visione teologica (per
giunta propria della teologia dei nostri tempi) e non storica. Il confronto, ad esempio, fra il racconto evangelico della lavanda dei piedi e il romanzo di Esopo, il quale chiarisce il significato particolare del Léntion cinto da Gesù prima della lavanda, è indicativo della possibilità di attingere, attraverso l'interazione fra testi diversi di una stessa epoca, ai presupposti culturali impliciti in un testo specifico.
2. Cos'è la Scrittura?
Si è sottolineato che, fino a larga parte del II secolo, per i cristiani l'unica Scrittura era quella ebraica. Per un bel pezzo i cristiani hanno fatto a meno del NT, e la stessa distinzione fra AT e NT, inevitabile nell'uso pratico, è da introdurre ogni volta con estrema cautela, nella consapevolezza dell'ipoteca ideologica della dicitura. Ma il problema è passibile di un ulteriore allargamento. Infatti al concetto di testo ispirato, che i cristiani avevano, non corrisponde quel testo determinato, la Bibbia, neppure la sezione veterotestamentaria, che potremmo avere in mente noi moderni. Giustino, ad esempio, considera ugualmente grafé, i Settanta (di cui dice a Trifone: la vostra Scrittura) e le raccolte di testimonia (di cui dice: la nostra Scrittura). In quanto ai testimonia, sembra doversi abbandonare l'idea che siano raccolte assemblate con una relativa facilità e immediatezza dai cristiani per
mostrare la messianicità di Cristo: la loro formazione presuppone invece una concezione teologica sufficientemente sviluppata.
Bisogna tener presente che tali raccolte sono sempre e solo un supporto all'oralità. L'uomo antico generalmente prescindeva dallo scritto, essendo la sua cultura ancora prevalentemente orale.
È così che spieghiamo come un'ideologia già articolata possa servirsi di testi scritti come semplice supporto.
3. Rapporto Scrittura/canone
Bisogna distinguere la ricezione della Scrittura prima e dopo il canone. Infatti il canone influenza la comprensione della Scrittura imponendo una mentalità concordistica. In un certo senso si potrebbe dire che esso limita l'autorità della Scrittura, perché la subordina all'idea teologica che ha portato alla sua costituzione. Si pensi alla differenza fra il canone marcionita e quello cattolico. Marcione aveva bisogno di uno strumento da contrapporre alla Scrittura. Quindi ha creato il NT perché si rendesse evidente l'opposizione all'AT. Quando i cattolici elaborano il loro NT lo scopo è perfettamente opposto: quello di avallare l’AT mediante il NT. Anche se non sappiamo nulla dei criteri che hanno presieduto alla formazione del canone neotestamentario, è indubbia una teologizzazione notevole nelle scelte operate, nella misura in cui la sua funzione è polemica nei confronti di Marcione.
4. I presupposti ermeneutici dell'interpretazione
Per lo storico dell'esegesi cristiana antica risulta importante individuare di volta in volta i presupposti ermeneutici dell'interpretazione. Per gli gnostici questi dovranno essere individuati nella convinzione che nella Scrittura è contenuto in qualche modo il racconto del proprio Io divino imprigionato nella materia. Per i cristiani non gnostici presupposto ermeneutico è la convinzione che nella Scrittura è contenuto l'annuncio di Cristo c della chiesa.
Ma la diversità è più apparente che reale; infatti per lo gnostico la sostanza divina caduta e frammentata nel mondo materiale è parte del mondo divino stesso. Il redentore è quindi consustanziale al redento. In fondo, secondo gli gnostici, il protagonista nascosto è sempre il Logos. Dunque si possono ricondurre i presupposti ermeneutici ad un'unità di fondo, anche se permangono, a un diverso livello ideologico, le differenze date dalle diverse comprensioni di Cristo Logos medesimo.
5. Storia dell'esegesi e storia della ricezione della Scrittura
Si è individuata la necessità di definire l'esegesi come una fra le diverse modalità di ricezione della Scrittura. Se diamo all'esegesi il significato di "commento" a un testo più o meno vasto, dobbiamo riconoscere che storicamente essa fu uno dei modi di appropriazione di quel patrimonio che da un certo momento in poi divenne disputato: la Scrittura. Per fare emergere infatti dalla Scrittura antica quel messaggio che si era convinti essa contenesse in nuce, a un certo punto venne abbandonato il fenomeno, riscontrabile ancora in Barnaba e negli gnostici, della ri-scrittura del testo scritturistico. L'appropriazione allora di quel patrimonio, che solo gli ebrei potevano sentire come immediatamente proprio perché riguardava in maniera diretta la loro storia e la loro identità, passa attraverso la costituzione di una nuova Scrittura, cioè attraverso il progressivo affiancarsi di un secondo corpus che sorregga il primo. Ma contemporaneamente a questa nuova creazione letteraria prende piede l'esegesi scritturistica: sarà allora la lettura tipologica, nel II e III secolo, a costituire la via maestra per raggiungere il Cristo implicito nell'AT.
Tratto da: La Bibbia nelle comunità antiche
Bilancio e prospettive di un'esperienza formativa
a cura di Laura Carnevale
Consulta anche: http://www.laparola.net/