La Parashah
La Parashah (anche parshah o parsha – in ebraico: פרשה, plurale פרשות - parashot o parashiyot; in pron. it.: parascià e parasciòt) è una suddivisione ordinata in "pericopi" della Torah destinata a definire la lettura settimanale della Torah stessa. Formalmente indica una sezione del libro biblico secondo il testo masoretico del Tanakh (Bibbia ebraica) Nel testo masoretico, le sezioni di parashah sono designate da vari tipi di spaziature tra di loro, come si trovano nei rotoli della Torah, nei rotoli dei Libri Nevi'im o Ketuvim (specialmente le megillot), i codici masoretici del Medioevo e le edizioni stampate dei testi masoretici.
Le suddivisioni del testo in parashot è indipendente dai numeri dei capitoli e dei versetti della Bibbia, che non fanno parte della tradizione masoretica. I Parashot non sono numerati, ma hanno nomi/titoli speciali.
Ciascuna porzione settimanale della Torah adotta il nome dalle prime parole del testo ebraico. Risalente al tempo della cattività babilonese (VI secolo a.e.v.), la lettura pubblica della Torah per lo più seguiva un ciclo annuale che iniziava e terminava alla festività ebraica di Simchat Torah, con la Torah suddivisa in 54 porzioni settimanali per corrispondere al lunisolare ebraico, che contiene fino a 55 settimane, con il numero esatto che varia fra anni bisestili e anni regolari.
Esisteva anche un antico "ciclo triennale" di letture osservato in alcune parti del mondo. Nei secoli XIX e XX, molte congregazioni dell'Ebraismo riformato e di quello conservatore hanno applicato un ciclo triennale alternativo in cui viene letto solo un terzo di ciascuna parashah settimanale in un dato anno; le parashot lette sono ancora in linea con il ciclo annuale, ma l'intera Torah viene completata nell'arco di tre anni.
A causa della differente durata delle festività tra Israele e la Diaspora, la porzione che viene letta in una particolare settimana talvolta non è uguale dentro e fuori di Israele.
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Le suddivisioni del testo in parashot è indipendente dai numeri dei capitoli e dei versetti della Bibbia, che non fanno parte della tradizione masoretica. I Parashot non sono numerati, ma hanno nomi/titoli speciali.
Ciascuna porzione settimanale della Torah adotta il nome dalle prime parole del testo ebraico. Risalente al tempo della cattività babilonese (VI secolo a.e.v.), la lettura pubblica della Torah per lo più seguiva un ciclo annuale che iniziava e terminava alla festività ebraica di Simchat Torah, con la Torah suddivisa in 54 porzioni settimanali per corrispondere al lunisolare ebraico, che contiene fino a 55 settimane, con il numero esatto che varia fra anni bisestili e anni regolari.
Esisteva anche un antico "ciclo triennale" di letture osservato in alcune parti del mondo. Nei secoli XIX e XX, molte congregazioni dell'Ebraismo riformato e di quello conservatore hanno applicato un ciclo triennale alternativo in cui viene letto solo un terzo di ciascuna parashah settimanale in un dato anno; le parashot lette sono ancora in linea con il ciclo annuale, ma l'intera Torah viene completata nell'arco di tre anni.
A causa della differente durata delle festività tra Israele e la Diaspora, la porzione che viene letta in una particolare settimana talvolta non è uguale dentro e fuori di Israele.
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Parashà di Lekh Lekhà: Perché il nostro patriarca Avraham andò a salvare Lot
Pubblicato da: Donato Grosser (Ottobre 2013)
Nei Pirqè Avòt (Massime dei Padri) è scritto (5:3): Avraham nostro padre fu sottoposto a dieci prove ed egli le superò tutte per far conoscere quanto fosse l’amore [verso il Creatore] di Avraham nostro padre. La Mishnà non offre dettagli su quali furono le prove alle quali fu sottoposto il patriarca Avraham. Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) nel suo commento alla Mishnà scrive che le dieci prove del patriarca Avraham sono tutte nella Torà:
1. La prima fu l’esilio, quando il Creatore gli diede l’ordine “Vattene dalla tua terra e dalla tua famiglia” (Bereshìt-Genesi, 12:1).
2. La seconda fu la carestia. Poco dopo il suo arrivo nella terra di Canaan (12:10) e dopo che l’Eterno gli aveva promesso di fare di lui un grande popolo, di benedirlo e di renderlo famoso (12:2).
3. La terza fu il sopruso a cui venne sottoposto in Egitto quando la moglie Sara fu presa e portata nella reggia del Faraone (12:15) che la lasciò libera solo dopo che lui e i suoi servi furono colpiti da una malattia.
4. Il quarto fu la battaglia contro i quattro Re che avevano invaso la Terra di Canaan, sconfiggendo i Re di Sodoma, Gomorra e delle altre tre città, e che avevano preso prigioniero Lot nipote di Avraham (14:1-24).
5. Il quinto fu quello di dover prendere Hagar come concubina quando aveva perso la speranza di poter avere figli da Sara (16:1-4).
6. Il sesto fu quello di doversi sottoporre alla milà (circoncisione) alla sua età veneranda di 99 anni (17:24).
7. Il settimo fu il sopruso subito per mano del Re filisteo di Gheràr che gli prese la moglie Sara (20:2) lasciandola libera solo dopo la minaccia di morte da parte dell’Eterno.
8. L’ottavo fu quello di dover mandare via Hagar dopo aver avuto da lei un figlio (21:10).
9. Il nono fu quello di dover mandare via il figlio Yishmael, per cui nella Torà è scritto che la cosa gli fece molto male (21:11).
10. Il decimo fu quello di dover legare il figlio Yitzchàq all’altare per essere sacrificato (22:1-19).
Nel Midràsh Pirqè DeRabbì Eli’èzer (cap. 26) viene elencata come prima prova la condanna di Avraham ad essere gettato nella fornace dal re Nimrod quando abitava ancora a Ur Kasdim, per avere distrutto gli idoli ed essersi ribellato alla idolatrica religione di stato e fatto propaganda monoteistica. I Maestri nel Midràsh Rabbà (38:13) spiegano che Haran, fratello minore di Avraham morì per colpa del padre Terach. Terach si lamentò con il re Nimrod che Avraham gli aveva distrutto gli idoli. Il Re lo condannò ad essere gettato nella fornace e per miracolo egli uscì vivo. Il fratello Haran non sapeva che parte prendere e decise che se Avraham si fosse salvato avrebbe dichiarato di essere dalla parte di Avraham, altrimenti avrebbe dichiarato di essere dalla parte del re Nimrod. Quando Avraham risalì vivo dalla fornace, Haran disse di essere dalla sua parte. Così il Re lo fece gettare nella fornace dove morì. Lot, figlio di Haran, seguì Avraham quando partì per la Terra di Canaan e ne divenne il principale discepolo.
Rav Yosef Shalom Eliashiv (Lituania, 1910-2012, Gerusalemme) dopo aver citato il Midràsh aggiunge che R. Menachèm Mendel Morgenstern, Rebbe di Kotzk (Lublino, 1787-1859) affermò in modo paradossale che “Avraham non ci credeva; Haran sì che ci credeva”. Avraham era disposto a sacrificare la vita per il monoteismo e non credeva che si sarebbe salvato. Haran invece credeva che si sarebbe salvato; non era disposto a morire per la fede di Avraham; egli credeva che sarebbe vissuto. Non aveva quello spirito di sacrificio per il quale l’Eterno fa miracoli e così Haran mori nella fornace. Rav Eliashiv scrive che Avraham non aveva bisogno di queste prove per mostrare che era un uomo giusto; alla fine l’Eterno conosce i pensieri degli uomni e sapeva bene chi era Avraham. Le dieci prove alle quali fu sottoposto Avraham avevano lo scopo di dare fama ad Avraham e fare sì che egli divenisse “una luce” e che tutti potessero imparare da lui.
Avraham con soli 318 uomini andò a combattere contro i quattro Re, che con migliaia di soldati avevano invaso la Terra di Canaan, per salvare il nipote Lot che era stato da loro preso prigioniero insieme con gli altri abitanti di Sodoma, dove era andato ad abitare. Rav Eliashiv chiede per quale motivo Avraham rischiò la vita per Lot? Lot si era allontanato da lui, lo aveva abbandonato e aveva abbandonato gli insegnamenti di Avraham per andare a godere la dolce vita di Sodoma. Nonostante questo quando Avraham seppe che il re Amrafel (secondo il Talmùd ‘Eruvìn, 53a, Amrafel e Nimrod sono la stessa persona) aveva preso Lot proprio perché era suo nipote, considerò una profanazione del Nome dell’Eterno lasciare apparire che Nimrod si vendicasse di Avraham in questo modo. Rav Eliashiv risponde che quando gli israeliti vengono perseguitati, anche quelli più assimilati non si salvano dalle persecuzioni. Nonostante tutto Lot era rimasto “Il figlio del fratello di Avraham” (14:12) e andava salvato.
Rav Yosef Dov Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) nel commento pubblicato in Massoret Harav (2013) scrive: Quando Avraham ebbe la notizia che Lot era stato preso prigioniero, una reazione normale da parte sua sarebbe stata quella di dire “Se l’ho è meritato; gli avevo detto di non associarsi ai Sodomiti”; Lot aveva respinto gli isegnamenti di Avraham e quello che l’Eterno richiedeva preferendo abitare in una società dedicata ai piaceri invece di seguire il patto di Avraham. Nonostante ciò Avraham non reagì ignorando le sofferenza del nipote. Un ebreo deve sentirsi in dovere di salvare suo fratello anche se costui ha abbandonato la via retta.
Donato Grosser
Il commento della settimana, la parashà di Lekh Lekhà – Abramo e la rinascita del monoteismo
Pubblicato da: Donato Grosser
Il Maimonide (Cordova, 1138-1205, il Cairo) nella sua opera Mishnè Torà, nel primo capitolo delle Hilkhòt Avodàt Kokhavìm (regole sull’idolatria) descrive come i discendenti di Adamo abbandonarono il monoteismo, come si svilupparono le credenze idolatriche e come il nostro patriarca Abramo fece rinascere il principio monoteista.
Ai tempi di Enòsh (figlio di Set e nipote di Adamo), che visse 905 anni, tra l’anno 235 e 1040 dalla Creazione del mondo, gli uomini commisero l’enorme errore di ritenere che fosse volontà divina onorare gli astri, così come un Re desidera che i suoi ministri vengano onorati.
Vennero costruiti templi al sole, alla luna e alle stelle e offerti loro sacrifici per ottenere la grazia divina. Questi uomini non negavano l’esistenza del Creatore, tuttavia con il passare del tempo quello che era stato un culto che si riteneva erroneamente in onore del Creatore, si trasformò in vera idolatria. Così, aggiunge il Maimonide, non rimasero che poche persone a conoscere il Creatore, come Chanòkh, Matusalemme, Noè, Sem ed ‘Ever, fino a quando nacque il nostro patriarca Abramo.
Abramo crebbe tra gli idolatri e arrivò gradualmente a comprendere che doveva esistere un Ente Supremo che controllava gli astri. Si rese conto dell’errore comune e di come il popolo fosse arrivato a questo errore. All’età di quarant’anni, avendo sviluppato il suo sistema di pensiero monoteista, iniziò a entrare in discussioni pubbliche nella sua città di Ur Kasdim e a dimostrare con prove inconfutabili l’errore degli idolatri. Passando all’azione distrusse le statue di suo padre, affermando pubblicamente che si doveva servire solo il Creatore del mondo e che le statue dovevano essere distrutte affinché il popolo non continuasse a commettere l’errore di adorare gli idoli. Le sue parole furono così convincenti che Nimrod, Re di Babilonia, decise di metterlo a morte gettandolo in una fornace. Salvatosi miracolosamente, lasciò Ur e andò a Charàn dove continuò a insegnare che nel mondo vi è un solo Dio. E così continuò fino a quando arrivò nella terra di Canaan “e là invocò il nome del Signore, Dio dell’Universo” (Genesi, 21:33).
Così facendo, aggiunge il Maimonide, Abramo raccolse seguaci “a migliaia e a decine di migliaia”. Li convinse della verità del monoteismo e della falsità dell’idolatria, compose libri e passò i suoi insegnamenti al figlio Isacco. Isacco proseguì l’opera del padre, passò l’insegnamento al figlio Giacobbe e continuò ad istruire coloro che lo seguivano. Giacobbe passò l’insegnamento ai figli, e mise a capo della sua scuola il figlio Levi affinché continuasse a insegnare le vie del Signore e a osservare le regole del patriarca Abramo. Giacobbe stabilì anche che i discendenti di Levi continuassero a condurre la sua scuola affinché la dottrina monoteista non andasse dimenticata. La famiglia si ingrandì e da essa nacque un popolo tutto monoteista.
Quando Abramo giunse nella terra di Canaan, Lot, suo nipote, si separò da lui e andò ad abitare a Sodoma. Fu preso prigioniero durante la guerra tra i Re di Mesopotamia e i Re della valle del Giordano (Bereshìt-Genesi, 14: 1-12). Il patriarca Abramo, inseguì con poco più di trecento uomini l’esercito di migliaia di uomini dei quattro Re, li sconfisse con un attacco notturno di sorpresa e liberò Lot e gli altri prigionieri di Sodoma (Genesi, 14:13-17).
Il Midràsh (Bereshìt Rabbà, 42:5) racconta che al ritorno di Abramo dalla battaglia, gli idolatri gli fecero un palco trionfale. Rav Eliashiv (1910-2012) a questo proposito commentò: quando Abramo rischiò la vita per la sua fede nell’Eterno e preferì essere gettato in una fornace piuttosto che rinunciare al monoteismo, nessuno gli fece un trionfo. Quando aprì la sua casa ai passanti e agli affamati, nessuno ci fece caso. Solo quando sbaragliò i nemici in battaglia gli fecero il trionfo. Questa è la filosofia dei popoli che sanno onorare solo la forza (Divrè Aggadà, p. 39).
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