LE TRE FEDI ABRAMITICHE
Religioni abramitiche
Sono chiamate "religioni abramitiche" quelle religioni che rivendicano Abramo (in ebraico "Avraham" אַבְרָהָם, Padre di molti ; in Arabo "Ibrahim" ابراهيم ) come parte della loro storia sacra. Storicamente sono considerate abramitiche l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam
Origine
Abramo, come narrato nella Bibbia, rifiutò politeismo ed idolatria imperanti nella sua città natale, la sumera Ur, e nella sua stessa famiglia, per abbracciare l'idea del Dio unico. Nell'Antico Testamento è narrato che Abramo, a causa della sterilità della moglie Sara, prese come concubina la serva egiziana Agar, e da questa ebbe un figlio, Ismaele (in ebraico ישמעאל, Ishmael, Dio mi ascoltò); successivamente la moglie Sara ebbe (all'età di 90 anni) un figlio, Isacco (in ebraico יצחק, Yitzchak, rise perché Sara aveva riso all'annuncio della gravidanza, vista la sua età). La gelosia nata in Sara verso la rivale Agar spinse Abramo a cacciare quest'ultima. In un passo della Bibbia è narrato che Agar, allo stremo delle forze dopo aver lasciato la casa di Abramo col figlio Ismaele, fu salvata da Dio che le promise una progenie numerosa, aggiungendo tuttavia che sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano contro tutti e la mano di tutti contro di lui e si ergerà in faccia a tutti i suoi fratelli. Dalle due mogli di Abramo derivarono quindi il popolo ebraico (discendente di Isacco) e gli Ismaeliti, discendenti di Ismaele, poi noti col nome di Arabi.
Alla morte di Sara, Abramo, dopo avere pensato a fare sposare il figlio, si sposa di nuovo anch’egli, così inoltrato nell’età, con una donna di nome Keturah e genera da lei ben sei nuovi figli. - Genesi 25:1 - Ella gli partorì Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach. Ioksan generò Saba e Dedan, e i figli di Dedan furono gli Assurìm, i Letusìm e i Leummìm. I figli di Madian furono Efa, Efer, Enoc, Abidà ed Eldaà. (Approfondisci l'argomento)
Come si è detto, la Bibbia narra che Abramo distrusse gli idoli della casa del padre e propugnò l'idea del Dio unico, creatore, giudice, non conoscibile, onnipotente ed eterno. Funzionale a questo concetto è quello del Dio che stabilisce le leggi cui gli uomini si devono attenere - concetto già precedentemente espresso nella Bibbia con i comandamenti Noachici (sostanzialmente, un corpus di leggi destinate alla protezione della persona, della proprietà e dei rapporti personali) e che sarà più avanti formalizzato con i Dieci Comandamenti e il corpus juris costituito dalla Torah, dettati appunto da Dio a Mosè durante l'Esodo. Questi concetti di base sono strettamente osservati nelle religioni ebraica e islamica, mentre sono interpretati in modo trascendente nella religione cristiana.
Fra i punti di contatto tra le religioni abramitiche, oltre la comune discendenza da Abramo, vi è la "regola d'oro" (tra l'altro non esclusiva delle religioni abramitiche, ma presente pure in altre tradizioni e culture).
Ecco 3 esempi dalle 3 principali religioni abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam)
Sono chiamate "religioni abramitiche" quelle religioni che rivendicano Abramo (in ebraico "Avraham" אַבְרָהָם, Padre di molti ; in Arabo "Ibrahim" ابراهيم ) come parte della loro storia sacra. Storicamente sono considerate abramitiche l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islam
Origine
Abramo, come narrato nella Bibbia, rifiutò politeismo ed idolatria imperanti nella sua città natale, la sumera Ur, e nella sua stessa famiglia, per abbracciare l'idea del Dio unico. Nell'Antico Testamento è narrato che Abramo, a causa della sterilità della moglie Sara, prese come concubina la serva egiziana Agar, e da questa ebbe un figlio, Ismaele (in ebraico ישמעאל, Ishmael, Dio mi ascoltò); successivamente la moglie Sara ebbe (all'età di 90 anni) un figlio, Isacco (in ebraico יצחק, Yitzchak, rise perché Sara aveva riso all'annuncio della gravidanza, vista la sua età). La gelosia nata in Sara verso la rivale Agar spinse Abramo a cacciare quest'ultima. In un passo della Bibbia è narrato che Agar, allo stremo delle forze dopo aver lasciato la casa di Abramo col figlio Ismaele, fu salvata da Dio che le promise una progenie numerosa, aggiungendo tuttavia che sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano contro tutti e la mano di tutti contro di lui e si ergerà in faccia a tutti i suoi fratelli. Dalle due mogli di Abramo derivarono quindi il popolo ebraico (discendente di Isacco) e gli Ismaeliti, discendenti di Ismaele, poi noti col nome di Arabi.
Alla morte di Sara, Abramo, dopo avere pensato a fare sposare il figlio, si sposa di nuovo anch’egli, così inoltrato nell’età, con una donna di nome Keturah e genera da lei ben sei nuovi figli. - Genesi 25:1 - Ella gli partorì Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach. Ioksan generò Saba e Dedan, e i figli di Dedan furono gli Assurìm, i Letusìm e i Leummìm. I figli di Madian furono Efa, Efer, Enoc, Abidà ed Eldaà. (Approfondisci l'argomento)
Come si è detto, la Bibbia narra che Abramo distrusse gli idoli della casa del padre e propugnò l'idea del Dio unico, creatore, giudice, non conoscibile, onnipotente ed eterno. Funzionale a questo concetto è quello del Dio che stabilisce le leggi cui gli uomini si devono attenere - concetto già precedentemente espresso nella Bibbia con i comandamenti Noachici (sostanzialmente, un corpus di leggi destinate alla protezione della persona, della proprietà e dei rapporti personali) e che sarà più avanti formalizzato con i Dieci Comandamenti e il corpus juris costituito dalla Torah, dettati appunto da Dio a Mosè durante l'Esodo. Questi concetti di base sono strettamente osservati nelle religioni ebraica e islamica, mentre sono interpretati in modo trascendente nella religione cristiana.
Fra i punti di contatto tra le religioni abramitiche, oltre la comune discendenza da Abramo, vi è la "regola d'oro" (tra l'altro non esclusiva delle religioni abramitiche, ma presente pure in altre tradizioni e culture).
Ecco 3 esempi dalle 3 principali religioni abramitiche (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam)
- Rabbi Hillel (Shabbat 31a): «non fare agli altri quello che non vuoi che essi facciano a te»;
- Gesù (Mt 7,12, Lc 6,31): «tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro»;
- Muhammad (40 Hadithe di an-Nawawi 13): «nessuno di voi è un credente fino a quando non desidera per il suo fratello quello che desidera per se stesso».
Altre religioni che fanno riferimento ad Abramo o che si autodefiniscono abramitiche

La religione Bahá'í
Dalle due mogli di Abramo derivarono il popolo ebraico (discendente di Isacco) e gli Ismaeliti, discendenti di Ismaele, poi noti col nome di Arabi. Dalla terza moglie di Abramo Ketura - Genesi 25:1 - discenderebbe secondo i suoi seguaci Bahá'u'lláh (letteralmente "La Gloria di Dio", 1817-1892), il fondatore della religione Bahá'í.
Il concetto di "religione abramitica" è un concetto controverso. È nota presso gli storici delle religioni la teoria e prassi teologica della "tolleranza all'indietro", per cui un Bahaista riconoscerà sia l'Ebraismo che il Cristianesimo che l'Islam come "religione abramitica" e aggiungerà la propria religione al novero delle religioni abramitiche, un islamico (il concetto di religioni abramitiche è di origine islamica) riconoscerà come abramitiche Ebraismo, Cristianesimo e la propria religione, ma escluderà i Bahai, un cristiano teologicamente coerente parlerà di tradizione giudaico-cristiana, mentre un giudaico osservante non riconoscerà, almeno dal punto di vista teologico, nessuno dei "fratelli minori".
Oltre all'Ebraismo, al Cristianesimo, all'Islam e al Bahaismo vi è un gran numero di religioni abramitiche (o che pretendono di essere tali) minori.
Dalle due mogli di Abramo derivarono il popolo ebraico (discendente di Isacco) e gli Ismaeliti, discendenti di Ismaele, poi noti col nome di Arabi. Dalla terza moglie di Abramo Ketura - Genesi 25:1 - discenderebbe secondo i suoi seguaci Bahá'u'lláh (letteralmente "La Gloria di Dio", 1817-1892), il fondatore della religione Bahá'í.
Il concetto di "religione abramitica" è un concetto controverso. È nota presso gli storici delle religioni la teoria e prassi teologica della "tolleranza all'indietro", per cui un Bahaista riconoscerà sia l'Ebraismo che il Cristianesimo che l'Islam come "religione abramitica" e aggiungerà la propria religione al novero delle religioni abramitiche, un islamico (il concetto di religioni abramitiche è di origine islamica) riconoscerà come abramitiche Ebraismo, Cristianesimo e la propria religione, ma escluderà i Bahai, un cristiano teologicamente coerente parlerà di tradizione giudaico-cristiana, mentre un giudaico osservante non riconoscerà, almeno dal punto di vista teologico, nessuno dei "fratelli minori".
Oltre all'Ebraismo, al Cristianesimo, all'Islam e al Bahaismo vi è un gran numero di religioni abramitiche (o che pretendono di essere tali) minori.
Fra queste ricordiamo:
1) di origine ebraica: il Samaritanesimo;
2) di origine cristiana: 1) i Testimoni di Geova, 2) il Mormonismo, 3) la Chiesa dell'Unificazione, 4) il Mandeismo e 5) il Rastafarianesimo;
3) di origine islamica: 1) lo Yazidismo, 2) il Drusismo, 3) l'Alauitismo (o Nusayrismo).
Queste religioni hanno diffusione limitata e, per lo più, carattere locale.
Le religioni abramitiche, contando i 2 miliardi circa di cristiani, il miliardo e mezzo circa di musulmani, i 14 milioni di persone di religione ebraica, i 7 milioni di Bahaisti e il gran numero di religioni minori sono la maggioranza assoluta della popolazione del Mondo, che è di circa 7 miliardi di esseri umani.
1) di origine ebraica: il Samaritanesimo;
2) di origine cristiana: 1) i Testimoni di Geova, 2) il Mormonismo, 3) la Chiesa dell'Unificazione, 4) il Mandeismo e 5) il Rastafarianesimo;
3) di origine islamica: 1) lo Yazidismo, 2) il Drusismo, 3) l'Alauitismo (o Nusayrismo).
Queste religioni hanno diffusione limitata e, per lo più, carattere locale.
Le religioni abramitiche, contando i 2 miliardi circa di cristiani, il miliardo e mezzo circa di musulmani, i 14 milioni di persone di religione ebraica, i 7 milioni di Bahaisti e il gran numero di religioni minori sono la maggioranza assoluta della popolazione del Mondo, che è di circa 7 miliardi di esseri umani.
LE “RELIGIONI” DEL LIBRO
di Carlo Molari
Ci sono diverse espressioni usate correntemente che collegano ebrei, cristiani e mussulmani in una storia comune, come quando si parla di religioni abramitiche, di monoteismi mediterranei, di religioni del Libro. Ma tutte queste espressioni sono ambigue dal punto di vista cristiano. La meno imperfetta è forse “religioni abramitiche”, dato che tutte tre le religioni considerano la decisione di Abramo all’origine della loro fede. Anche parlare di monoteismi almeno nella prospettiva islamica non è esatto dato che spesso essi accusano i cristiani di non essere monoteisti per la dottrina della Trinità, che però seguendo il Corano molti presentano in modo completamente errato.1 La più ambigua di tutte, però, dal punto di vista cristiano è forse la formula Religioni del Libro. Essa deriva dalle espressioni del Corano “genti del libro”2 e “gente della Scrittura”3.
Cosa si intende per Religioni del Libro
Yahya Sergio Yahe Pallavicini commentando la sura 4,54 del Corano4 scrive: “Quest’ultimo riferimento alla gente di Abramo e al Libro ci introduce un altro aspetto di rilievo comune ad ebrei, cristiani e musulmani perché secondo la dottrina islamica vengono spesso chiamati le Genti del Libro “ahl al-kitab” in quanto sono considerati i custodi ed i testimoni del Libro della Rivelazione divina sotto forma di leggi e scritture sacre. Ed è per questo motivo che troviamo nelle tre religioni del monoteismo di Abramo una particolare importanza nell’approfondimento dei testi sacri, proprio per la imprescindibile partecipazione alla Verità Rivelata tramite la penetrazione della dottrina presente nelle espressioni del Libro celeste. A questo proposito è importante precisare il valore della catena di trasmissione sapienziale che proprio in virtù di questo ricollegamento ininterrotto alla fonte spirituale dei testi sacri permette quella lettura interiore scevra da ogni sterile letteralismo. Soltanto in questa prospettiva i dottori della legge ebrei, i sacerdoti cristiani e i maestri musulmani hanno sempre rappresentato quei punti di riferimento fondamentali della comunità dei fedeli proprio in virtù della loro preparazione dottrinale e singolare apertura intellettuale”.5
Nella tradizione islamica, inoltre, la formula genti del libro ha acquistato un’estensione maggiore perché oltre a cristiani ed ebrei include anche taoisti e zoroastani i quali si riferiscono a scritti sacri, ritenuti rivelazione anche da parte islamica. La formula infine ha anche rilevanza giuridica perché secondo il Corano ai mussulmani è permesso avere particolari rapporti con la gente del libro. Scrive l’enciclopedia elettronica Wikipedia: “Col termine Ahl al-Kitab, lett. “Gente del Libro”, la giurisprudenza islamica si riferisce ai fedeli di quelle religioni che fanno riferimento a testi ritenuti di origine divina dallo stesso Islam: Torah per gli ebrei, Injil (Vangelo) per i cristiani, Avesta per gli Zoroastriani o Veda per gli Induisti. Per questa ragione i devoti di queste religioni sono considerati meritevoli di “protezione” (dhimma) dall’Islam, purché assoggettati a un’imposta personale (jizya) ed, eventualmente, a una fondiaria (kharaj), oltre che alla Umma islamica da un punto di vista esclusivamente politico. All’Ahl al-Kitab è garantita in contraccambio libertà di culto, la gestione e il restauro dei loro luoghi sacri (a livello puramente teorico limitati alle sole edificazioni esistenti) e l’auto-amministrazione per quanto attiene ad alcuni diritti della persona, patrimoniali (con le eccezioni anzidette) e commerciali, oltre che matrimoniali e successori. Agli uomini dell’Ahl al-Kitab è invece precluso il matrimonio con musulmane, anche se alle donne è invece consentito sposare uomini appartenenti alla religione islamica”.6
Nell’ambito cristiano abitualmente la formula Religioni del Libro quando viene utilizzata designa le tre religioni monoteistiche mediterranee o abraminiche, ma con alcune riserve. Alcuni mettono in luce che Ebrei e cristiani sono più propriamente religioni della Parola (Dabar), altri sottolineano la differenza notevole fra la redazione della Bibbia ebraico/cristiana e del Corano, secondo le rispettive tradizioni religiose.
Henri Blocher, teologo evangelico francese, ad es., in merito scrive: “Ebrei, cristiani, mussulmani sono accumunati da un elemento: l’autorità che esercita il Libro. Non si tratta di somiglianza, ma di vera parentela”. Egli osserva però che spesso sia presso gli ebrei che presso i mussulmani il Libro viene considerato preesistente alla sua manifestazione storica, realtà trascendente, mentre per i cristiani il Libro è risultato di un’attività storica dell’uomo. I cristiani in questo senso “non sono prima di tutto “gente del libro”, ma il popolo della Parola. Quel popolo creato dalla Parola annunciata come Notizia storica”.7
D’altra parte il cattolico Remi Brague precisa: “Si parla sempre delle religioni del Libro, ma in verità i libri in questione son ben diversi. Intanto per i tempi di redazione - quasi un millennio per l’Antico Testamento, settant’anni per il Nuovo, e circa venti per il Corano. Poi per lo scopo: i primi due divennero una raccolta di testi canonici solo ex post; il terzo fu composto per servire da libro sacro di una comunità. Infine, per come operarono: la religione dell’antico Israele non ebbe bisogno di un libro per celebrare il culto di un popolo al suo Dio, semmai fu essa stessa a produrre un libro; là dove per il giudaismo fu il libro a produrre la nazione, come spiegò Heinrich Heine che vide nella Bibbia la “patria portatile” di ogni ebreo. Il cristianesimo, invece, nacque da un uomo, Gesù di Nazareth, e dalla sua predicazione. Non un libro, dunque, ma una persona. E anche l’islam nacque da un evento, l’espansione delle tribù arabe dal medio oriente sino all’Iran e la predicazione di Maometto per lanciarle alla conquista del mondo. Ne consegue un diverso rapporto col Libro e tra la tradizione giudeocristiana da un lato, unita da un rapporto di filiazione e distacco, la religione coranica dall’altro, che invece non ha alcun bisogno né del Vecchio né del Nuovo Testamento”.8
In senso più esatto perciò le religioni del libro dovrebbero essere chiamate religioni che si richiamano ad una rivelazione o ad eventi rivelativi.
Parola di Dio e sua azione rivelatrice
Per capire bene il senso della formula Religioni del libro è necessario ricordare il valore della formula Parola di Dio secondo i cristiani.
La formula: Parola di Dio di per sé, in senso proprio, indica l’azione o la forza creatrice che alimenta la storia, “quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana”.9 La Scrittura ebraica designa questa presenza creatrice con il termine Dabar, tradotto Logos in greco, Verbum in latino e Parola in italiano. Ma i significati di questi diversi termini non corrispondono esattamente. Nel tempo si è verificata una progressiva riduzione di significato. Nel senso attuale ‘parola’ indica “quella forma superiore di scambio tra esseri intelligenti con cui una persona si rivolge a un’altra per comunicare”. In senso biblico e quindi nell’uso ecclesiale ‘parola di Dio’ indica invece tutta la gamma delle attività con cui Dio comunica con gli uomini, testimonia la sua presenza con i fenomeni cosmici e si rivela negli eventi storici. La Costituzione Dogmatica sulla Rivelazione del Concilio Vaticano II ha precisato che la Rivelazione si attua attraverso eventi accompagnati da parole. La Parola attraverso cui Dio si rivela non è una parola verbale, ma evenenziale, fattuale. Per questo l’Abate benedettino Christopher Butler in un Convegno organizzato dalla Notre Dame University l’anno dopo la chiusura del Concilio riferendosi alla Costituzione Dogmatica sulla Rivelazione a cui egli stesso aveva contribuito diceva: “Ci si sarebbe forse uniformati meglio al genio del cristianesimo e alla sua più profonda intuizione se si fosse scelto di intitolare il nostro documento «riguardo all’azione divina». Se la fede ebraico-cristiana crede in un «Dio vivente», la sua certezza deriva soprattutto dalla vitalità di Dio quale si manifesta nei suoi interventi storici, il cui culmine è rappresentato per la Chiesa dalla risurrezione di Gesù Cristo dai morti a opera di Dio. Dio «parla» agli uomini agendo, e le sue parole (nel senso più stretto del termine) sono soprattutto interpretazione di questa sua azione”10. A giudizio del teologo gesuita René Latourelle “Questa struttura sacramentale della rivelazione (avvenimento veramente prodotto e parola di interpretazione) rappresenta la rivoluzione più considerevole introdotta dalla Dei Verbum. La teologia, e la fondamentale in particolare, non ha ancora finito di assimilare le implicazioni di questo principio di base”11. Credo che questa riflessione valga anche e forse di più per la Chiesa intera e ancora oggi dopo più di quarant’anni dalla chiusura del Concilio.
La Scrittura santa quindi è detta Parola di Dio in senso analogico, per il rapporto cioè che essa ha con l’azione divina nel mondo. Essa infatti è la trascrizione delle tradizioni orali relative agli eventi suscitati o attraversati dalla potenza creatrice di Dio accolta ed espressa da creature umane. A rigore di termini la Parola di Dio ha un ambito più ampio della rivelazione. Questa ultima infatti designa la manifestazione storica di Dio agli uomini mentre la Parola che si traduce nella creazione viene chiamata Testimonianza di Dio. Il Concilio “distingue infatti una duplice manifestazione di Dio: la prima è quella con cui Dio dà agli uomini «una testimonianza permanente» della sua esistenza iscritta nell’universo da lui creato (Rom 1, 19-20). Questa manifestazione di Dio non è definita dal Concilio «rivelazione» .. ma «testimonianza» da parte di Dio di se stesso: della sua esistenza, della sua potenza, della sua maestà, che è rivolta a tutti gli uomini”12.
D’altra parte la formula Parola di Dio ha acquistato nell’uso ecclesiale un senso ancora più ampio. Infatti oltre all’azione della creazione, all’ispirazione dei profeti, alla rivelazione storica culminante nella predicazione del Regno effettuata da Gesù con i segni che la accompagnavano, indica anche la molteplice attività della Chiesa lungo i secoli. “Così la Parola continua la sua corsa nella predicazione viva e nelle tante altre forme di servizio di evangelizzazione, per cui la predicazione è Parola di Dio, comunicata dal Dio vivo a persone vive in Gesù Cristo, tramite la Chiesa. Da questo quadro si può comprendere che quando si predica la rivelazione di Dio si compie nella Chiesa un evento che si può chiamare veramente Parola di Dio”13.
Il recente Sinodo dei Vescovi cattolici sulla Parola di Dio ha richiamato il fatto che la formula Parola di Dio in senso proprio ed immediato indica la realtà divina nell’atto di comunicare la sua perfezione, in senso derivato indica gli eventi che costituiscono la storia di salvezza e solo conseguentemente significa il racconto scritto degli eventi di salvezza e quindi la Bibbia. In senso proprio quindi i cristiani sono i discepoli di Gesù Cristo, Parola umana di Dio compimento della storia di salvezza. La terza proposizione presentata al Papa afferma: “L’espressione Parola di Dio è analogica. Si riferisce innanzitutto alla Parola di Dio in Persona che è il Figlio Unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Verbo del Padre fatto carne (cf. Gv 1, 14). La Parola divina, già presente nella creazione dell’universo e in modo particolare dell’uomo, si è rivelata lungo la storia della salvezza ed è attestata per iscritto nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Questa Parola di Dio trascende la Sacra Scrittura, anche se essa la contiene in modo del tutto singolare. Sotto la guida dello Spirito (cf. Gv 14, 26; 16, 12-15) la Chiesa la custodisce e la conserva nella sua Tradizione viva (cf. DV 10) e la offre all’umanità attraverso la predicazione, i sacramenti e la testimonianza di vita. I Pastori, perciò, devono educare il Popolo di Dio a cogliere i diversi significati dell’espressione Parola di Dio.” In prospettiva cristiana quindi la Scrittura è detta Parola di Dio per due ragioni: perché gli eventi narrati sono attraversati dall’azione divina e perché la sua redazione è guidata dallo Spirito (=ispirata).
Anche il termine “rivelazione” può avere significati molto diversi. In realtà nella prospettiva cristiana è sempre più chiaro che la rivelazione non è un complesso di idee comunicate in modo miracoloso da Dio agli uomini o una lingua originaria insegnata da Dio agli umani, bensì una Parola che fa vivere, un’energia arcana che alimenta il divenire delle cose e attraverso l’esperienza conduce a scoprire la verità. “Tutti vivono per Lui” affermava Gesù in polemica con i Sadducei che negavano la vita dopo morte (Lc 20,38). “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” ricordava Paolo agli Ateniesi annunciando il Dio ignoto (At 17,28), Lui, che “opera tutto in tutti” (1 Cor 8,6) “è al disopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6), “dal quale tutto proviene e noi siamo per lui” (1 Cor 8,6). Per questo la rivelazione si concretizza e diviene una serie di esperienze storiche “un’economia” che “avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro”14. Per molto tempo soprattutto negli ultimi secoli si è definita la rivelazione in termini di conoscenza intellettuale e non di rado si pensava ad una rivelazione primitiva avvenuta con la comunicazione di una lingua divina, che costituirebbe l’inizio una rivelazione, perché le parole indicherebbero la natura intima delle cose.15 Oggi sappiamo invece che il linguaggio è un’invenzione umana e non descrive la realtà delle cose, bensì esprime la relazione delle persone con la realtà senza poterne cogliere l’intima essenza.16
Si potrebbe dire che la rivelazione è per il genere umano ciò che l’educazione è per ogni singolo uomo: attraverso esperienze, incontri, riflessioni l’umanità apprende i criteri del bene e del male e scopre le dinamiche profonde della vita alimentata dall’energia arcana che sostiene il processo della creazione. L’uomo non può imparare tutto in un solo momento. In questa prospettiva si inserisce il ruolo storico delle religioni positive. Tutte le religioni possono essere ambito della rivelazione perché tutte le religioni possono essere spazi di eventi salvifici.
Verità della Parola di Dio
Questa impostazione ha conseguenze notevoli anche in ordine alla verità della Parola di Dio nelle sue diverse espressioni. È nota la discussione svoltasi in Concilio e proseguita nella interpretazione dei suoi testi, a proposito della “inerranza biblica”. Il domenicano Pietro Benoit, noto biblista della scuola di Gerusalemme, riassumeva la dottrina conciliare scrivendo che la Parola di Dio: “è comunicata in funzione della salvezza degli uomini (hominum salutis causa); non intende perciò istruirli in ogni ambito scientifico, ma solo guidarli alla conoscenza di Dio e a riflettere rettamente su ogni cosa orientati a Lui”17. Egli continuava spiegando che mentre il testo redatto precedentemente parlava della “verità rivelata riguardante Dio e gli uomini, il testo definitivo corregge: riguardante Dio e la salvezza dell’uomo” (DV n. 2). Così nel n. 6 si dice: “Con la divina rivelazione Dio ha inteso manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo la salvezza degli uomini”. Infine nel n. 11 la stessa costituzione afferma “si deve dichiarare per conseguenza che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza (nostrae salutis causa) volle fosse consegnata nelle Sacre lettere”. Molti timori erano stati avanzati su quest’ultima formula che un esegeta tradizionalista Mons. Francesco Spadafora (+ 1997) considerava eretica perché limitava “l’inerranza biblica alla «verità salvifica»”18.
Evidentemente il criterio della verità salvifica riguarda l’interpretazione della Scrittura e non implica che le religioni e in particolare la religione cristiana non debba essere interrogata sulla sua verità. Soprattutto nel dialogo interreligioso “la domanda della verità.. è ineliminabile, se si vuole evitare il pericolo di cadere nel sincretismo o di ridurre il dialogo ad una semplice fenomenologia delle religioni”.19 Ma il riferimento essenziale non sono le idee, bensì l’autenticità della vita da cui la verità salvifica appare.
Queste impostazioni però hanno acconsentito ai teologi di affrontare in modo nuovo le difficoltà sorte nella storia tra scienza e dottrina della fede, in particolare nel dibattiti relativi alla evoluzione, all’origine della vita, alla provvidenza ecc.. Le convinzioni espresse dagli autori biblici non sono dottrine rivelate. Oggi siamo in grado di capire gli eventi cosmici e storici in modo molto diverso da come li interpretavano gli autori biblici. Anche per gli aspetti etici e le scelte operative, lo Spirito può condurre anche oggi la chiesa e l’umanità a scoprire la verità tutta intera (cfr. Gv 16, 13).
I cristiani perciò sono i credenti che tengono fisso lo sguardo su Gesù, la Parola di Dio resa carne, l’“apostolo e sommo sacerdote” (Eb 3,1) l’ “iniziatore e perfezionatore” (Eb 12,2) della fede in Dio che essi professano. Il Libro è per loro un sussidio prezioso in vista della purificazione interiore che consente l’ascolto della Parola e l’accoglienza dello Spirito con cui Dio illumina, chiama e conduce gli uomini attraverso i sentieri della storia al loro destino eterno. Anche le esperienze storiche di tutti gli uomini, in particolare dei fratelli credenti e, in modo speciale, degli Ebrei e dei Mussulmani, costituiscono uno spazio di tale azione rivelatrice che impreziosisce la dottrina e la disciplina dei discepoli di Gesù.
NOTE:
1 In due luoghi il Corano parla della Trinità come Dio, Maria e Gesù (Sura 5, 77, 116) "Quando Dio disse: "O Gesù, figlio di Maria, sei tu che hai detto agli uomini: 'prendete me e mia madre come dèi oltre a Dio'' Gesù rispose: "Gloria a Te! Non mi appartiene di dire ciò che non ho il diritto di dire. Se lo avessi detto Tu l'avresti saputo: Tu conosci ciò che è nell'intimo mio, e io non conosco ciò che è nell'intimo Tuo! In verità Tu solo conosci ogni segreto"". (5,116) e Sura 6, 101. In altri nega che si possa parlare di tre in Dio (Sura 4, 171)
2 "In verità Noi abbiamo rivelato la Torah, che contiene retta guida e luce, con la quale giudicavano i Profeti tutti dati a Dio fra i giudei, e i maestri e i dottori con il Libro di Dio, di cui era stata loro affidata la custodia, e di cui erano testimoni" (surat al-maida, della mensa, V: 44) "Dì: "O gente del Libro! Voi non farete nulla di buono finché non metterete in pratica la Torah e il Vangelo e quello che vi è stato rivelato dal vostro Signore" (surat al-maida, della mensa, V: 68); "E chi allora ha rivelato il Libro che Mosè propose come Luce e Guida per gli uomini?" Dì: "È Dio!" (surat al-an'am, dei greggi, VI: 91); "Egli riprese le Tavole; la copia delle quali contiene Retta Guida e Misericordia per coloro che temono il loro Signore" (surat al-a'raf, del Limbo, VII: 154)
3 Corano, Sura IV An-Nisâ' (Le Donne) 171
4 "Noi abbiamo dato alla gente di Abramo il Libro e la Saggezza e abbiamo dato loro un Regno immenso", Surat an-nisa', delle donne, IV: 54
5 La storia degli Ebrei nel sacro Corano Sito internet http:// nuke.religioniindialogo.it
6 Enciclopedia Wikipedia alla voce Gente del libro
7 Blocher H., Il Cristianesimo e le altre religioni del libro in Studi di teologia n. 10, 5 (1993) n. 2. Rivista dell'Istituto di formazione evangelica e documentazione (IFED) di Padova
8 Brague R., Du Dieu des chrétiens, Flammarion, Paris 2008 citazione tratta da Internet
9 Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle religioni non cristiane NAe, 2, EV 856
10 Butler Ch., La costituzione dogmatica sulla divina rivelazione in La teologia dopo il Vaticano II, Morcelliana 1967 p. 52
11 Latourelle R., Assenza e presenza della fondamentale nel Concilio Vaticano II, in Concilio Vaticano II. Bilancio e prospettive, venticinque anni dopo 1962-1987, Cittadella, Assisi 1987 p. 1404
12 Latourelle R., Dei Verbum: commento in Dizionario di Teologia fondamentale, Cittadella, Assisi 1990 p. 288
13 XII Sinodo dei Vescovi Lineamenta n. 10
14 Concilio Vaticano II Costituzione dogmatica sulla rivelazione, DV 2 EV 1
15 In molte religioni è presente o suggerita la convinzione dell'origine divina del linguaggio. Nella tradizione Indù la Dea Sarasvati, sposa di Brahama avrebbe insegnato a parlare agli uomini. Nella Bibbia ebraica si dice che Dio condusse all'uomo le bestie selvatiche e gli uccelli "per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamto ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome" (Gen 2, 19 b). La ricerca di una lingua divina originaria ha interessato per molto tempo filosofi, linguisti, teologi. Sulle ricerche di una lingua primitiva divina cfr Cosco G., La scrittura di Dio, da internet alla voce. Egli cita G. Scholem, Il nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Milano 1998; Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia, 1510 e A. Kircher, Turris Babel, Amsterdam, 1679 senza indicare le pagine. Cfr. anche Marrone C., Lingua universale e scrittura segreta nell'opera di Kircher, in: Mariastella Casciato, Maria Grazia Ianniello, Maria Vitale (a cura di), Enciclopedismo in Roma Barocca, Marsilio, Venezia, 1986.
Ancora nel 1916 ricollegandosi alla tradizione ebraica, soprattutto alla Kabala, Walter Benjamin (1892-1940) nel saggio Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini ( in Id., Angelus novus, Einaudi 1995, pp. 53-70) suppone una situazione originaria di perfetta corrispondenza fra parole e cose, realtà e linguaggio, conseguenza dell'attribuzione da parte di Dio dei nomi alle cose. Questa iniziale trasparenza delle cose nei nomi si sarebbe interrotta con il peccato originale. Con l'evento di Babele e la presunzione umana l'originaria lingua divina si frantuma in una pluralità di linguaggi umani privi ormai della forza rivelatrice della lingua divina e ridotti a semplici strumenti di comunicazione
16 Cfr., ad es. Sciloroni C., Il linguaggio nel pensiero contemporaneo. Alcuni aspetti , in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 4 (2000) n. 2 Missione e linguaggio pp. 197-214
17 Acta Congressus internationalis de theologia Concilii Vaticani II, Poliglotta Vaticana, 1968 p. 513
18 La "Nuova Esegesi", in Il trionfo del modernismo sull'Esegesi Cattolica, cap. 15, ed. Les Amis de s. François de Sales, 1996
19 De la Potterie I., Verità in Dizionario di Teologia fondamentale o. c.,
Testo pubblicato su: http://www.chiesacattolica.it/documenti/2009/01/00014268_le_religioni_del_libro_c_molari.html
Ci sono diverse espressioni usate correntemente che collegano ebrei, cristiani e mussulmani in una storia comune, come quando si parla di religioni abramitiche, di monoteismi mediterranei, di religioni del Libro. Ma tutte queste espressioni sono ambigue dal punto di vista cristiano. La meno imperfetta è forse “religioni abramitiche”, dato che tutte tre le religioni considerano la decisione di Abramo all’origine della loro fede. Anche parlare di monoteismi almeno nella prospettiva islamica non è esatto dato che spesso essi accusano i cristiani di non essere monoteisti per la dottrina della Trinità, che però seguendo il Corano molti presentano in modo completamente errato.1 La più ambigua di tutte, però, dal punto di vista cristiano è forse la formula Religioni del Libro. Essa deriva dalle espressioni del Corano “genti del libro”2 e “gente della Scrittura”3.
Cosa si intende per Religioni del Libro
Yahya Sergio Yahe Pallavicini commentando la sura 4,54 del Corano4 scrive: “Quest’ultimo riferimento alla gente di Abramo e al Libro ci introduce un altro aspetto di rilievo comune ad ebrei, cristiani e musulmani perché secondo la dottrina islamica vengono spesso chiamati le Genti del Libro “ahl al-kitab” in quanto sono considerati i custodi ed i testimoni del Libro della Rivelazione divina sotto forma di leggi e scritture sacre. Ed è per questo motivo che troviamo nelle tre religioni del monoteismo di Abramo una particolare importanza nell’approfondimento dei testi sacri, proprio per la imprescindibile partecipazione alla Verità Rivelata tramite la penetrazione della dottrina presente nelle espressioni del Libro celeste. A questo proposito è importante precisare il valore della catena di trasmissione sapienziale che proprio in virtù di questo ricollegamento ininterrotto alla fonte spirituale dei testi sacri permette quella lettura interiore scevra da ogni sterile letteralismo. Soltanto in questa prospettiva i dottori della legge ebrei, i sacerdoti cristiani e i maestri musulmani hanno sempre rappresentato quei punti di riferimento fondamentali della comunità dei fedeli proprio in virtù della loro preparazione dottrinale e singolare apertura intellettuale”.5
Nella tradizione islamica, inoltre, la formula genti del libro ha acquistato un’estensione maggiore perché oltre a cristiani ed ebrei include anche taoisti e zoroastani i quali si riferiscono a scritti sacri, ritenuti rivelazione anche da parte islamica. La formula infine ha anche rilevanza giuridica perché secondo il Corano ai mussulmani è permesso avere particolari rapporti con la gente del libro. Scrive l’enciclopedia elettronica Wikipedia: “Col termine Ahl al-Kitab, lett. “Gente del Libro”, la giurisprudenza islamica si riferisce ai fedeli di quelle religioni che fanno riferimento a testi ritenuti di origine divina dallo stesso Islam: Torah per gli ebrei, Injil (Vangelo) per i cristiani, Avesta per gli Zoroastriani o Veda per gli Induisti. Per questa ragione i devoti di queste religioni sono considerati meritevoli di “protezione” (dhimma) dall’Islam, purché assoggettati a un’imposta personale (jizya) ed, eventualmente, a una fondiaria (kharaj), oltre che alla Umma islamica da un punto di vista esclusivamente politico. All’Ahl al-Kitab è garantita in contraccambio libertà di culto, la gestione e il restauro dei loro luoghi sacri (a livello puramente teorico limitati alle sole edificazioni esistenti) e l’auto-amministrazione per quanto attiene ad alcuni diritti della persona, patrimoniali (con le eccezioni anzidette) e commerciali, oltre che matrimoniali e successori. Agli uomini dell’Ahl al-Kitab è invece precluso il matrimonio con musulmane, anche se alle donne è invece consentito sposare uomini appartenenti alla religione islamica”.6
Nell’ambito cristiano abitualmente la formula Religioni del Libro quando viene utilizzata designa le tre religioni monoteistiche mediterranee o abraminiche, ma con alcune riserve. Alcuni mettono in luce che Ebrei e cristiani sono più propriamente religioni della Parola (Dabar), altri sottolineano la differenza notevole fra la redazione della Bibbia ebraico/cristiana e del Corano, secondo le rispettive tradizioni religiose.
Henri Blocher, teologo evangelico francese, ad es., in merito scrive: “Ebrei, cristiani, mussulmani sono accumunati da un elemento: l’autorità che esercita il Libro. Non si tratta di somiglianza, ma di vera parentela”. Egli osserva però che spesso sia presso gli ebrei che presso i mussulmani il Libro viene considerato preesistente alla sua manifestazione storica, realtà trascendente, mentre per i cristiani il Libro è risultato di un’attività storica dell’uomo. I cristiani in questo senso “non sono prima di tutto “gente del libro”, ma il popolo della Parola. Quel popolo creato dalla Parola annunciata come Notizia storica”.7
D’altra parte il cattolico Remi Brague precisa: “Si parla sempre delle religioni del Libro, ma in verità i libri in questione son ben diversi. Intanto per i tempi di redazione - quasi un millennio per l’Antico Testamento, settant’anni per il Nuovo, e circa venti per il Corano. Poi per lo scopo: i primi due divennero una raccolta di testi canonici solo ex post; il terzo fu composto per servire da libro sacro di una comunità. Infine, per come operarono: la religione dell’antico Israele non ebbe bisogno di un libro per celebrare il culto di un popolo al suo Dio, semmai fu essa stessa a produrre un libro; là dove per il giudaismo fu il libro a produrre la nazione, come spiegò Heinrich Heine che vide nella Bibbia la “patria portatile” di ogni ebreo. Il cristianesimo, invece, nacque da un uomo, Gesù di Nazareth, e dalla sua predicazione. Non un libro, dunque, ma una persona. E anche l’islam nacque da un evento, l’espansione delle tribù arabe dal medio oriente sino all’Iran e la predicazione di Maometto per lanciarle alla conquista del mondo. Ne consegue un diverso rapporto col Libro e tra la tradizione giudeocristiana da un lato, unita da un rapporto di filiazione e distacco, la religione coranica dall’altro, che invece non ha alcun bisogno né del Vecchio né del Nuovo Testamento”.8
In senso più esatto perciò le religioni del libro dovrebbero essere chiamate religioni che si richiamano ad una rivelazione o ad eventi rivelativi.
Parola di Dio e sua azione rivelatrice
Per capire bene il senso della formula Religioni del libro è necessario ricordare il valore della formula Parola di Dio secondo i cristiani.
La formula: Parola di Dio di per sé, in senso proprio, indica l’azione o la forza creatrice che alimenta la storia, “quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana”.9 La Scrittura ebraica designa questa presenza creatrice con il termine Dabar, tradotto Logos in greco, Verbum in latino e Parola in italiano. Ma i significati di questi diversi termini non corrispondono esattamente. Nel tempo si è verificata una progressiva riduzione di significato. Nel senso attuale ‘parola’ indica “quella forma superiore di scambio tra esseri intelligenti con cui una persona si rivolge a un’altra per comunicare”. In senso biblico e quindi nell’uso ecclesiale ‘parola di Dio’ indica invece tutta la gamma delle attività con cui Dio comunica con gli uomini, testimonia la sua presenza con i fenomeni cosmici e si rivela negli eventi storici. La Costituzione Dogmatica sulla Rivelazione del Concilio Vaticano II ha precisato che la Rivelazione si attua attraverso eventi accompagnati da parole. La Parola attraverso cui Dio si rivela non è una parola verbale, ma evenenziale, fattuale. Per questo l’Abate benedettino Christopher Butler in un Convegno organizzato dalla Notre Dame University l’anno dopo la chiusura del Concilio riferendosi alla Costituzione Dogmatica sulla Rivelazione a cui egli stesso aveva contribuito diceva: “Ci si sarebbe forse uniformati meglio al genio del cristianesimo e alla sua più profonda intuizione se si fosse scelto di intitolare il nostro documento «riguardo all’azione divina». Se la fede ebraico-cristiana crede in un «Dio vivente», la sua certezza deriva soprattutto dalla vitalità di Dio quale si manifesta nei suoi interventi storici, il cui culmine è rappresentato per la Chiesa dalla risurrezione di Gesù Cristo dai morti a opera di Dio. Dio «parla» agli uomini agendo, e le sue parole (nel senso più stretto del termine) sono soprattutto interpretazione di questa sua azione”10. A giudizio del teologo gesuita René Latourelle “Questa struttura sacramentale della rivelazione (avvenimento veramente prodotto e parola di interpretazione) rappresenta la rivoluzione più considerevole introdotta dalla Dei Verbum. La teologia, e la fondamentale in particolare, non ha ancora finito di assimilare le implicazioni di questo principio di base”11. Credo che questa riflessione valga anche e forse di più per la Chiesa intera e ancora oggi dopo più di quarant’anni dalla chiusura del Concilio.
La Scrittura santa quindi è detta Parola di Dio in senso analogico, per il rapporto cioè che essa ha con l’azione divina nel mondo. Essa infatti è la trascrizione delle tradizioni orali relative agli eventi suscitati o attraversati dalla potenza creatrice di Dio accolta ed espressa da creature umane. A rigore di termini la Parola di Dio ha un ambito più ampio della rivelazione. Questa ultima infatti designa la manifestazione storica di Dio agli uomini mentre la Parola che si traduce nella creazione viene chiamata Testimonianza di Dio. Il Concilio “distingue infatti una duplice manifestazione di Dio: la prima è quella con cui Dio dà agli uomini «una testimonianza permanente» della sua esistenza iscritta nell’universo da lui creato (Rom 1, 19-20). Questa manifestazione di Dio non è definita dal Concilio «rivelazione» .. ma «testimonianza» da parte di Dio di se stesso: della sua esistenza, della sua potenza, della sua maestà, che è rivolta a tutti gli uomini”12.
D’altra parte la formula Parola di Dio ha acquistato nell’uso ecclesiale un senso ancora più ampio. Infatti oltre all’azione della creazione, all’ispirazione dei profeti, alla rivelazione storica culminante nella predicazione del Regno effettuata da Gesù con i segni che la accompagnavano, indica anche la molteplice attività della Chiesa lungo i secoli. “Così la Parola continua la sua corsa nella predicazione viva e nelle tante altre forme di servizio di evangelizzazione, per cui la predicazione è Parola di Dio, comunicata dal Dio vivo a persone vive in Gesù Cristo, tramite la Chiesa. Da questo quadro si può comprendere che quando si predica la rivelazione di Dio si compie nella Chiesa un evento che si può chiamare veramente Parola di Dio”13.
Il recente Sinodo dei Vescovi cattolici sulla Parola di Dio ha richiamato il fatto che la formula Parola di Dio in senso proprio ed immediato indica la realtà divina nell’atto di comunicare la sua perfezione, in senso derivato indica gli eventi che costituiscono la storia di salvezza e solo conseguentemente significa il racconto scritto degli eventi di salvezza e quindi la Bibbia. In senso proprio quindi i cristiani sono i discepoli di Gesù Cristo, Parola umana di Dio compimento della storia di salvezza. La terza proposizione presentata al Papa afferma: “L’espressione Parola di Dio è analogica. Si riferisce innanzitutto alla Parola di Dio in Persona che è il Figlio Unigenito di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, Verbo del Padre fatto carne (cf. Gv 1, 14). La Parola divina, già presente nella creazione dell’universo e in modo particolare dell’uomo, si è rivelata lungo la storia della salvezza ed è attestata per iscritto nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Questa Parola di Dio trascende la Sacra Scrittura, anche se essa la contiene in modo del tutto singolare. Sotto la guida dello Spirito (cf. Gv 14, 26; 16, 12-15) la Chiesa la custodisce e la conserva nella sua Tradizione viva (cf. DV 10) e la offre all’umanità attraverso la predicazione, i sacramenti e la testimonianza di vita. I Pastori, perciò, devono educare il Popolo di Dio a cogliere i diversi significati dell’espressione Parola di Dio.” In prospettiva cristiana quindi la Scrittura è detta Parola di Dio per due ragioni: perché gli eventi narrati sono attraversati dall’azione divina e perché la sua redazione è guidata dallo Spirito (=ispirata).
Anche il termine “rivelazione” può avere significati molto diversi. In realtà nella prospettiva cristiana è sempre più chiaro che la rivelazione non è un complesso di idee comunicate in modo miracoloso da Dio agli uomini o una lingua originaria insegnata da Dio agli umani, bensì una Parola che fa vivere, un’energia arcana che alimenta il divenire delle cose e attraverso l’esperienza conduce a scoprire la verità. “Tutti vivono per Lui” affermava Gesù in polemica con i Sadducei che negavano la vita dopo morte (Lc 20,38). “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” ricordava Paolo agli Ateniesi annunciando il Dio ignoto (At 17,28), Lui, che “opera tutto in tutti” (1 Cor 8,6) “è al disopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,6), “dal quale tutto proviene e noi siamo per lui” (1 Cor 8,6). Per questo la rivelazione si concretizza e diviene una serie di esperienze storiche “un’economia” che “avviene con eventi e parole intimamente connessi tra loro”14. Per molto tempo soprattutto negli ultimi secoli si è definita la rivelazione in termini di conoscenza intellettuale e non di rado si pensava ad una rivelazione primitiva avvenuta con la comunicazione di una lingua divina, che costituirebbe l’inizio una rivelazione, perché le parole indicherebbero la natura intima delle cose.15 Oggi sappiamo invece che il linguaggio è un’invenzione umana e non descrive la realtà delle cose, bensì esprime la relazione delle persone con la realtà senza poterne cogliere l’intima essenza.16
Si potrebbe dire che la rivelazione è per il genere umano ciò che l’educazione è per ogni singolo uomo: attraverso esperienze, incontri, riflessioni l’umanità apprende i criteri del bene e del male e scopre le dinamiche profonde della vita alimentata dall’energia arcana che sostiene il processo della creazione. L’uomo non può imparare tutto in un solo momento. In questa prospettiva si inserisce il ruolo storico delle religioni positive. Tutte le religioni possono essere ambito della rivelazione perché tutte le religioni possono essere spazi di eventi salvifici.
Verità della Parola di Dio
Questa impostazione ha conseguenze notevoli anche in ordine alla verità della Parola di Dio nelle sue diverse espressioni. È nota la discussione svoltasi in Concilio e proseguita nella interpretazione dei suoi testi, a proposito della “inerranza biblica”. Il domenicano Pietro Benoit, noto biblista della scuola di Gerusalemme, riassumeva la dottrina conciliare scrivendo che la Parola di Dio: “è comunicata in funzione della salvezza degli uomini (hominum salutis causa); non intende perciò istruirli in ogni ambito scientifico, ma solo guidarli alla conoscenza di Dio e a riflettere rettamente su ogni cosa orientati a Lui”17. Egli continuava spiegando che mentre il testo redatto precedentemente parlava della “verità rivelata riguardante Dio e gli uomini, il testo definitivo corregge: riguardante Dio e la salvezza dell’uomo” (DV n. 2). Così nel n. 6 si dice: “Con la divina rivelazione Dio ha inteso manifestare e comunicare se stesso e i decreti eterni della sua volontà riguardo la salvezza degli uomini”. Infine nel n. 11 la stessa costituzione afferma “si deve dichiarare per conseguenza che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza (nostrae salutis causa) volle fosse consegnata nelle Sacre lettere”. Molti timori erano stati avanzati su quest’ultima formula che un esegeta tradizionalista Mons. Francesco Spadafora (+ 1997) considerava eretica perché limitava “l’inerranza biblica alla «verità salvifica»”18.
Evidentemente il criterio della verità salvifica riguarda l’interpretazione della Scrittura e non implica che le religioni e in particolare la religione cristiana non debba essere interrogata sulla sua verità. Soprattutto nel dialogo interreligioso “la domanda della verità.. è ineliminabile, se si vuole evitare il pericolo di cadere nel sincretismo o di ridurre il dialogo ad una semplice fenomenologia delle religioni”.19 Ma il riferimento essenziale non sono le idee, bensì l’autenticità della vita da cui la verità salvifica appare.
Queste impostazioni però hanno acconsentito ai teologi di affrontare in modo nuovo le difficoltà sorte nella storia tra scienza e dottrina della fede, in particolare nel dibattiti relativi alla evoluzione, all’origine della vita, alla provvidenza ecc.. Le convinzioni espresse dagli autori biblici non sono dottrine rivelate. Oggi siamo in grado di capire gli eventi cosmici e storici in modo molto diverso da come li interpretavano gli autori biblici. Anche per gli aspetti etici e le scelte operative, lo Spirito può condurre anche oggi la chiesa e l’umanità a scoprire la verità tutta intera (cfr. Gv 16, 13).
I cristiani perciò sono i credenti che tengono fisso lo sguardo su Gesù, la Parola di Dio resa carne, l’“apostolo e sommo sacerdote” (Eb 3,1) l’ “iniziatore e perfezionatore” (Eb 12,2) della fede in Dio che essi professano. Il Libro è per loro un sussidio prezioso in vista della purificazione interiore che consente l’ascolto della Parola e l’accoglienza dello Spirito con cui Dio illumina, chiama e conduce gli uomini attraverso i sentieri della storia al loro destino eterno. Anche le esperienze storiche di tutti gli uomini, in particolare dei fratelli credenti e, in modo speciale, degli Ebrei e dei Mussulmani, costituiscono uno spazio di tale azione rivelatrice che impreziosisce la dottrina e la disciplina dei discepoli di Gesù.
NOTE:
1 In due luoghi il Corano parla della Trinità come Dio, Maria e Gesù (Sura 5, 77, 116) "Quando Dio disse: "O Gesù, figlio di Maria, sei tu che hai detto agli uomini: 'prendete me e mia madre come dèi oltre a Dio'' Gesù rispose: "Gloria a Te! Non mi appartiene di dire ciò che non ho il diritto di dire. Se lo avessi detto Tu l'avresti saputo: Tu conosci ciò che è nell'intimo mio, e io non conosco ciò che è nell'intimo Tuo! In verità Tu solo conosci ogni segreto"". (5,116) e Sura 6, 101. In altri nega che si possa parlare di tre in Dio (Sura 4, 171)
2 "In verità Noi abbiamo rivelato la Torah, che contiene retta guida e luce, con la quale giudicavano i Profeti tutti dati a Dio fra i giudei, e i maestri e i dottori con il Libro di Dio, di cui era stata loro affidata la custodia, e di cui erano testimoni" (surat al-maida, della mensa, V: 44) "Dì: "O gente del Libro! Voi non farete nulla di buono finché non metterete in pratica la Torah e il Vangelo e quello che vi è stato rivelato dal vostro Signore" (surat al-maida, della mensa, V: 68); "E chi allora ha rivelato il Libro che Mosè propose come Luce e Guida per gli uomini?" Dì: "È Dio!" (surat al-an'am, dei greggi, VI: 91); "Egli riprese le Tavole; la copia delle quali contiene Retta Guida e Misericordia per coloro che temono il loro Signore" (surat al-a'raf, del Limbo, VII: 154)
3 Corano, Sura IV An-Nisâ' (Le Donne) 171
4 "Noi abbiamo dato alla gente di Abramo il Libro e la Saggezza e abbiamo dato loro un Regno immenso", Surat an-nisa', delle donne, IV: 54
5 La storia degli Ebrei nel sacro Corano Sito internet http:// nuke.religioniindialogo.it
6 Enciclopedia Wikipedia alla voce Gente del libro
7 Blocher H., Il Cristianesimo e le altre religioni del libro in Studi di teologia n. 10, 5 (1993) n. 2. Rivista dell'Istituto di formazione evangelica e documentazione (IFED) di Padova
8 Brague R., Du Dieu des chrétiens, Flammarion, Paris 2008 citazione tratta da Internet
9 Concilio Vaticano II, Dichiarazione sulle religioni non cristiane NAe, 2, EV 856
10 Butler Ch., La costituzione dogmatica sulla divina rivelazione in La teologia dopo il Vaticano II, Morcelliana 1967 p. 52
11 Latourelle R., Assenza e presenza della fondamentale nel Concilio Vaticano II, in Concilio Vaticano II. Bilancio e prospettive, venticinque anni dopo 1962-1987, Cittadella, Assisi 1987 p. 1404
12 Latourelle R., Dei Verbum: commento in Dizionario di Teologia fondamentale, Cittadella, Assisi 1990 p. 288
13 XII Sinodo dei Vescovi Lineamenta n. 10
14 Concilio Vaticano II Costituzione dogmatica sulla rivelazione, DV 2 EV 1
15 In molte religioni è presente o suggerita la convinzione dell'origine divina del linguaggio. Nella tradizione Indù la Dea Sarasvati, sposa di Brahama avrebbe insegnato a parlare agli uomini. Nella Bibbia ebraica si dice che Dio condusse all'uomo le bestie selvatiche e gli uccelli "per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamto ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome" (Gen 2, 19 b). La ricerca di una lingua divina originaria ha interessato per molto tempo filosofi, linguisti, teologi. Sulle ricerche di una lingua primitiva divina cfr Cosco G., La scrittura di Dio, da internet alla voce. Egli cita G. Scholem, Il nome di Dio e la teoria cabbalistica del linguaggio, Milano 1998; Agrippa di Nettesheim, De occulta philosophia, 1510 e A. Kircher, Turris Babel, Amsterdam, 1679 senza indicare le pagine. Cfr. anche Marrone C., Lingua universale e scrittura segreta nell'opera di Kircher, in: Mariastella Casciato, Maria Grazia Ianniello, Maria Vitale (a cura di), Enciclopedismo in Roma Barocca, Marsilio, Venezia, 1986.
Ancora nel 1916 ricollegandosi alla tradizione ebraica, soprattutto alla Kabala, Walter Benjamin (1892-1940) nel saggio Sulla lingua in generale e sulla lingua degli uomini ( in Id., Angelus novus, Einaudi 1995, pp. 53-70) suppone una situazione originaria di perfetta corrispondenza fra parole e cose, realtà e linguaggio, conseguenza dell'attribuzione da parte di Dio dei nomi alle cose. Questa iniziale trasparenza delle cose nei nomi si sarebbe interrotta con il peccato originale. Con l'evento di Babele e la presunzione umana l'originaria lingua divina si frantuma in una pluralità di linguaggi umani privi ormai della forza rivelatrice della lingua divina e ridotti a semplici strumenti di comunicazione
16 Cfr., ad es. Sciloroni C., Il linguaggio nel pensiero contemporaneo. Alcuni aspetti , in Ad gentes. Teologia e antropologia della missione 4 (2000) n. 2 Missione e linguaggio pp. 197-214
17 Acta Congressus internationalis de theologia Concilii Vaticani II, Poliglotta Vaticana, 1968 p. 513
18 La "Nuova Esegesi", in Il trionfo del modernismo sull'Esegesi Cattolica, cap. 15, ed. Les Amis de s. François de Sales, 1996
19 De la Potterie I., Verità in Dizionario di Teologia fondamentale o. c.,
Testo pubblicato su: http://www.chiesacattolica.it/documenti/2009/01/00014268_le_religioni_del_libro_c_molari.html
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