MOSE'
Secondo i testi biblici, Mosè nacque in un periodo terribile di persecuzione, in cui i maschi ebrei venivano uccisi alla nascita. Abbandonato sulla riva del Nilo in una culla galleggiante, fu scoperto e adottato dalla figlia del Faraone.
Il nome Mosè significherebbe salvato dalle acque a ricordo del suo miracoloso ritrovamento nel Nilo, infatti il nome ebraico Moshè ha un'assonanza col verbo che significa trar fuori, benché tutt'oggi la maggioranza degli studiosi preferisce credere che il nome derivi dalla radice egizia Moses, che significa figlio di o generato da come possiamo ad esempio vedere negli egiziani Thutmosis (figlio di Thot) o Ramses (figlio di Ra). In linea con questa tesi e mancando il nome del padre Mosè significa semplicemente bambino quale vezzeggiativo di figlio.
L'interpretazione classica del Midrash identifica Mosè come uno dei sette personaggi biblici chiamati con diversi nomi[Midrash Rabbah, Ki Thissa, XL. 3-3, Lehrman, pag.463]. Gli altri nomi di Mosè erano difatti: Jekuthiel (per sua madre), Heber (per suo padre), Jered (per Miriam), Avi Zanoah (per Aronne), Avi Soco (per la sua balia), Shemaiah ben Nethanel (per il popolo d'Israele). A Mosè sono anche attribuiti i nomi di Toviah (quale primo nome) e Levi (quale nome di famiglia), Mechoqeiq (da legislatore) ed Ehl Gav Ish.
Il nome egiziano Moses che significa, come già detto, figlio o protetto da fu dato al profeta dalla figlia del faraone, quando venne ritrovato dalla stessa sulle rive del fiume. Il nome prese poi il significato di trarre fuori solo in seguito, quando Mosè liberò il popolo attraverso le acque del Mar Rosso. Quest'etimologia è citata anche da Giuseppe Flavio.
Alcuni studiosi ebrei nel medioevo ipotizzarono che il nome di Mosè fosse in realtà stato tradotto dagli autori della Bibbia da un termine egiziano che significasse trarre fuori.
I Legami familiari
Mosè crebbe come un principe alla corte del faraone e divenuto adulto riscoprì le sue origini ebraiche, e uscendo verso i suoi fratelli per conoscerli, ne vide le sofferenze" (Es. 2, 11);. E proprio l’amore per i suoi fratelli fu uno dei moventi che portarono Mosè all’azione. Fin dai primi momenti della sua vicenda: la Bibbia racconta che il primo gesto di Mosè, divenuto adulto, fu quello di difendere un ebreo da un aguzzino egiziano, e fu così durante la colluttazione lo uccise. In seguito a questo fatto, siccome la cosa giunse all’orecchio del faraone, Mosè fu costretto a fuggire dall’Egitto e risiedette per molti anni in Madian, dove sposò Zippora (o Sefora) figlia del sacerdote Jetro, dalla quale ebbe due figli: Gherson (il cui nome significa immigrato poiché nato in terra straniera) ed Eliezer. In Madian ricevette la chiamata divina: per tornare in Egitto e liberare i suoi fratelli dalla schiavitù a cui erano stati costretti.
[Il libro dei Numeri cita una moglie etiope di Mosè, che alcuni esegeti ipotizzano sia Zippora stessa, riferendosi il termine ebraico Kushita (cioè etiope) anche ad una tribù di Madian, mentre altri esegeti non concordano ritenendoli due personaggi diversi, anche in considerazione delle varie tradizioni intrecciatesi sulla famiglia di Mosè. Giuseppe Flavio, erede della tradizione ebraica, narra a tal proposito l'episodio della guerra di Mosè, in Etiopia, quando era ancora un capitano egizio, dove sposò Tharbis, sorella del re nemico, stipulando in tal modo con lui la pace.]
Mosè era appartenente alla tribù di Levi, ed era figlio di Amram e della zia di lui Yochebed, entrambi dello stesso casato; Yochebed sposò il nipote - essendo figlia di Levi, il figlio di Giacobbe. I fratelli di Mosè erano Aronne, di tre anni più grande, e Miriam (o Maria) della quale dal racconto di Es. 2, 4-8 sappiamo che era la maggiore, avendo seguito il fratello appena nato quando questi fu abbandonato dalla madre lungo le rive del Nilo nella cesta di giunco spalmata di bitume e pece e dal successivo dialogo con la figlia del faraone.
La Missione
Tutta la missione di Mosè fu contrassegnata da grandi manifestazioni della grandezza di Dio. Egli guidò per quaranta anni il popolo di Israele nel deserto del Sinai, lo condusse alle pendici del Sinai dove sul monte ricevette le tavole della Legge e dettò agli ebrei gli ordinamenti fondamentali, ma non gli fu concesso di entrare nella terra promessa, poté solo guardarla dalla cima del Pisga sul monte Nebo. La sua tomba non fu mai trovata.
Un bellissimo midrash rabbinico al cap. 34 del Deuteronomio, che racconta la morte di Mosè “amico di Dio”. Ci mostra quanto Mosè amasse la vita e la paura che la morte incuteva anche a lui, ma ci mostra anche la “comprensione” di Dio per la paura dell’uomo davanti al grande passo, e il “dolore” di Dio per la morte, sino a piangere.
Si udì una voce dal cielo che disse a Mosè: “Mosè, è la fine, il tempo della tua morte è venuto”. Mosè disse a Dio: “Ti supplico, non mi abbandonare nelle mani dell’angelo della morte”. Ma Dio scese dall’alto dei cieli per prendere l’anima di Mosè e gli disse: “Mosè, chiudi gli occhi” e Mosè li chiuse; poi disse: “Posa le mani sul petto” e Mosè così fece; poi disse: “Adesso accosta i piedi” e Mosè li accostò. Allora Dio chiamò l’anima di Mosè dicendole: “Figlia mia, ho fissato un tempo di 120 anni durante il quale tu abitassi nel corpo di Mosè. Ora è giunta la tua fine; parti, non tardare”. E l’anima: “Re del mondo, io amo il corpo puro e santo di Mosè e non voglio lasciarlo”. Allora Dio baciò Mosè e prese la sua anima con un bacio della sua bocca, poi Dio pianse per la morte di Mosè.
Sul midrash vedi anche QUI
Secondo la tradizione Mosè è l’autore del Pentateuco, la prima parte della Bibbia, la Torah, l’Insegnamento di Dio al Suo popolo. Mosè è il protagonista di tre libri del Pentateuco, Esodo, Levitico e Numeri, mentre il quinto, il Deuteronomio (Devarim, Parole), cioè "seconda legge, o legge riscritta", è una ripetizione dei racconti storici e delle norme che si trovano nei libri precedenti in forma di grande omelia. Esso viene presentato sotto forma di grandi discorsi fatti da Mosè al popolo.
Molti studiosi soprattutto delle generazioni più recenti hanno continuato ad interrogarsi sulla figura di Mosè, continuando nel solco dell’immenso lavoro fatto in precedenza, interrogandosi sui diversi aspetti della figura e dell’opera di questo grande protagonista della storia religiosa e morale. Gli antiche scritti, a partire da Giuseppe Flavio fino alla letteratura rabbinica, hanno aggiunto dettagli e interpretazioni sulla storia biblica di Mosè; caricandola spesso di elementi mitici, pescati dal tesoro della tradizione interna ed esterna all’ebraismo, rivelando così aspetti della figura di Mosè che forse possono essere considerati "veri" e sui quali la Bibbia ha taciuto, che invece si sono conservati nella tradizione.
Anche se la Bibbia racconta molta storia, dobbiamo sempre tenere presente che non deve essere considerata come un libro di storia, ma piuttosto un libro pieno di insegnamenti religiosi, morali e anche psicologici. Per questo non è importante la coincidenza con le sequenze storiche reali, quanto messaggio che vuole farci arrivare, anche a scapito della storicità come la intendiamo oggi.
L’amore per i suoi fratelli fu uno dei moventi di tutta l’azione legislativa di Mosè, questa sollecitudine verso gli oppressi e i diseredati, verso la necessità di avere una di legislazione sociale che abbia la massima attenzione per la giustizia, per i rapporti con gli stranieri, facendo in questo caso tesoro dell’esperienza negativa fatta dal popolo in Egitto, esperienza carica di sofferenza che sarà un ammonimento e un esempio negativo da non imitare nei rapporti con gli stranieri (Es. 22, 20), nemmeno verso gli egiziani (Deut. 23, 8). Cose non facilmente riscontrabili nelle leggi dell’epoca. Anche di Dio stesso viene data un’immagine di protettore dei poveri e dei diseredati, e di custode del suo popolo (Deut. 32, 10).
Il suo popolo, i suoi fratelli, però non lo compresero e ancor meno lo amarono, e anzi cercarono di impedire che si realizzasse il progetto di salvezza che Dio aveva affidato a Mosè perché lo portasse a termine. Alcuni addirittura cercarono di tornare in Egitto, e altri al contrario di anticipare l’ingresso nella terra promessa e Mosè stesso, malgrado li avesse disperatamente difesi, si prese l’accusa infamante di "aver ucciso il popolo di Dio" (Nm. 17, 6).
Non a caso la Bibbia dice che alla morte di Aron "tutta la casa di Israele lo pianse per trenta giorni" (Nm. 20, 29), mentre per Mosè è detto "che i figli di Israele lo piansero per trenta giorni" (Dt. 34, 8). E così, colui che era stato il protagonista della liberazione del suo popolo, dandosi senza riserve in questa missione, non avendo mai accettato compromessi non poteva essere amato da tutto il popolo.
Mosè si presenta come un modello di santo imperfetto e tormentato, non è solo il grande uomo politico che ha liberato il suo popolo, o il grande legislatore che detta agli ebrei e all’umanità un codice fondamentale di comportamento; è anche l’uomo che nella storia riesce a stabilire un contatto con l’esperienza divina superiore a quello di qualsiasi altro essere umano, che lo ha preceduto e seguito. Questa idea è presente a chiare lettere nel Pentateuco, in almeno tre brani differenti (Es. 33, 17 ss.; Nm. 12, 6-8; Dt. 34, 10).
Il desiderio di Mosè di avvicinarsi al sacro è stato grande, e mai nessun uomo è riuscito quanto lui a sollevare quei veli che lo separano dal profano nella ricerca e nella conoscenza dei misteri del sacro. Ma in questo conservò sempre una grande umiltà, che lo spinse a rivolgersi a Dio con queste parole: «Ora, se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi, indicami la tua via, così che io ti conosca e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa nazione è il tuo popolo» (Es. 33, 13).