Tefillà - Preghiera
Le Tre Preghiere
Originale su: https://it.chabad.org/library/article_cdo/aid/3494915/jewish/Le-Tre-Preghiere.htm
Secondo la legge ebraica abbiamo il dovere di pregare tre volte al giorno, la mattina, il pomeriggio e la sera. Tali preghiere sono denominate shachrìt, preghiera del mattino), minchà, preghiera del pomeriggio, e arvìt o ma’arìv, preghiera della sera.
I nostri saggi spiegano che l'usanza di pregare tre volte al giorno fu originariamente istituita dai nostri Patriarchi: Abramo, Isacco, e Giacobbe. Abramo introdusse la preghiera del mattino, Isacco del pomeriggio e Giacobbe ne aggiunse una la sera.
Nello Zohar e negli insegnamenti Chassidici Chabad, viene spiegato che ognuno dei tre Patriarchi rappresentò una qualità particolare nel servizio di D-o.
Abramo servì D-o con amore, Isacco con timore, Giacobbe con misericordia. Pur avendo uno le qualità dell'altro, ognuno di essi ne aveva una particolare posta più in evidenza. Abramo si distinse nella qualità della gentilezza o bontà, chessed, ed amore, ahavà. Isacco eccelse specialmente nella qualità della giustizia stretta, din e reverenza yirat Hashem, mentre Giacobbe le creditò entrambe, facendo risultare la combinazione in una nuova qualità, l'equilibrata e durevole virtù della verità emet e misericordia, rachamìm.
Noi, figli di Abramo, Isacco e Giacobbe, abbiamo ereditato tutte le tre qualità dei nostri Patriarchi, e queste ci abilitano nel servire D-o con amore, timore, misericordia.
La qualità della misericordia ci pervade quando realizziamo che la nostra anima è parte della Divinità e proviamo per essa pietà, così spesso distratta da D-o, a causa degli aspetti materiali della vita quotidiana.
Quando ricevemmo la Torà nel monte Sinai, il nostro stile di vita fu determinato da D-o. Torà vuol dire insegnamento, guida, istituzione poiché essa comprende ogni dettaglio della nostra vita quotidiana.
La Torà contiene 613 precetti tra essi vi è il comandamento “servire D-o con tutto il tuo cuore e tutta la tua anima”.
Come serviamo D-o con il cuore?
Pregandolo, così facendo, non solo adempiamo al comandamento di pregare D-o, ma anche ad altri comandamenti, come amare D-o, temerlo, che sono comandamenti separati.
Durante il primo millennio, e così, dal tempo di Moshe Rabbenu, non ci fu un ordine stabilito di preghiere.
Ciascuno aveva il dovere di pregare D-o quotidianamente, ma lo stile, le ricorrenze giornaliere dipendevano dall'individuo.
C'era comunque, un ordine preciso nel Beth Hamikdash in connessione con i sacrifici quotidiani, mattina e pomeriggio, mentre i sacrifici della sera si estendevano fino a notte nei giorni speciali, come Shabbatot, Rosh Chodesh festività vi erano anche sacrifici addizionali chiamate Musàf.
Dunque, non era forse raro per alcuni ebrei pregare tre volte al giorno, mattina, sera e notte, a loro proprio modo, il Re David per esempio, dichiarò che egli pregava tre volte al giorno, e così dicasi di Daniele (in Babilonia), il quale guardava in direzione di Gerusalemme.
È evidente che anche durante il periodo del primo Bet Hamikdash esistevano luoghi pubblici di preghiera chiamati Bet Hamikdash, che i Caldeani (babilonesi) distrussero insieme a Gerusalemme, ed il Bet Hamikdash.
Dopo che il Bet Hamikdash fu distrutto e gli ebrei condotti in cattività a Babilonia essi continuarono a riunirsi e pregare in congregazione. I luoghi di preghiera divennero come piccoli santuari - Bet Mikdash Me'at - ma durante gli anni dell'esilio, i bambini nati ed educati a Babilonia non avevano una conoscenza adeguata della lingua sacra (ebraico) e parlavano una lingua mista. Così, quando gli ebrei, passati i trent'anni d'esilio, tornarono alla terra madre, Ezra lo Scriba insieme ai profeti e i saggi, (120 membri in tutto) stabilirono il testo della preghiera giornaliera, Shemone Esre, l’Amidà - le diciotto benedizioni) e resero istituzione permanente e dovere nella vita ebraica recitare questa preghiera tre volte al giorno. Da allora ciò divenne parte della legge ebraica: pregare in tale ordine stabilito, tre volte al giorno, corrispondente ai sacrifici quotidiani del Bet Hamikdash con le preghiere di Musaf di Shabbat Rosh Chodesh e festività ed una speciale preghiera di chiusura di Yom Kippur.
Tali sono le parti principali delle preghiere quotidiane formulate dai nostri saggi: lo Shemà e l’Amidà, tutt'oggi parti essenziali del nostro servizio mattutino e serale, mentre l’Amidà è la parte principale del servizio di Minchà. I salmi quotidiani cantati dai Leviti nel Beth Hamikdash, entrarono a far parte della preghiera del mattino così come altri salmi di David, e altri ancora prima e dopo lo Shemà.
Dal tempo in cui la Mishnà fu redatta da Rabbi Judah il principe (anno 3910 circa - 500 anni dopo Ezra) e specialmente dall'epoca in cui fu completato il Talmùd (circa 300 anni più tardi o 1500 anni fa) l'ordine basilare delle nostre preghiere rimase formulato così come lo conosciamo ora.
Come mai si fanno Tre passi indietro dopo l'amidà e il kaddìsh?
Domanda: Alla fine del Kaddìsh e dell’Amidà si fanno tre passi indietro e si dice “osè shalòm”, una preghiera per la pace. Mi è stato spiegato che facciamo questi passi indietro come segno di rispetto, come faremmo se ci stessimo allontanando dal cospetto di un re. Come mai proprio tre passi? E perché preghiamo per la pace dopo i passi?
Risposta
Il Talmùd1 insegna che alla conclusione dell’Amidà si dovrebbe indietreggiare in modo rispettoso facendo tre passi indietro, e solamente dopo si dice “shalòm”, ovvero “pace” o “addio”.2
I commenti spiegano che i tre passi indietro mostrano che si sta lasciando un posto di santità passando a un posto più terreno. Come quando ci si congeda da un re al termine di un’udienza, così “ci congediamo” da D-o dopo queste preghiere speciali.3
Gran parte di questi motivi valgono anche per il Kaddìsh quando prendiamo tre passi indietro prima di dire shalòm4. Ma la domanda rimane: come mai proprio tre passi? Rav Yosef Caro cita alcune spiegazioni nel suo commento Bet Yosef.
La ritirata dei tre “mil”
Quando gli ebrei sentirono l’imponente suono della voce di D-o che dava la Torà al monte Sinài, reagirono ritirandosi per una distanza di tre “mil” (unità di lunghezza dell’epoca Talmudica5). Pertanto ricordiamo questo senso di timore riverenziale indietreggiando di tre passi alla conclusione del nostro incontro con D-o6.
Moshè e I divisori celesti
Quando Moshè salì sul monte Sinài per ricevere la Torà, “il monte bruciava con fuoco fin dentro ai cieli, con buio, una nuvola e un buio opaco”7. Il Midràsh spiega che l’espressione “buio, una nuvola e un buio opaco” si riferisce ai tre divisori celesti che Moshè attraversò quando arrivò e quando lasciò la Presenza Divina.8 Pertanto anche noi prendiamo tre passi indietro quando ci allontiamo dopo l’Amidà.9
Scendendo dall’Altare
Le nostre preghiere sostituiscono il servizio dei sacrifici che venivano offerti nel Bet Hamikdàsh, il Tempio Grande a Gerusalemme. In particolare, essi corrispondono alle offerte giornaliere chiamate tamìd che venivano portate sull’altare dal cohèn, il sacerdote; che poi scendeva dall’altare all’indietro. Siccome c’erano tre livelli di roccia tra l’altare e la rampa10, anche noi facciamo altrettanto quando lasciamo la Presenza Divina11.
La Profezia di Ezechiele
Quando preghiamo, cerchiamo di essere come angeli. Un verso nel Libro di Ezechiele descrive la posizione degli angeli così: “e le loro gambe erano una gamba dritta”12. Questo versetto è la fonte della norma che richiede che si tengano i piedi uniti durante l’Amidà13 ed è anche la fonte dei tre passi indietro: il minimo per il plurale di ‘gambe’ è due, più la gamba unica, abbiamo un totale di tre passi.14
Corrispondenti ai passi di Nabuccodonosor
Infine, all’inizio della carriera di Nabuccodonosor, prima che diventasse re e distruggesse il Bet Hamikdàsh, egli era lo scriba reale del re Merodach-Baladan di Babilonia. Accadde che il re fece inviare una lettera al Re Hezechia per congratularsi della sua miracolosa guarigione. La lettera non menzionava D-o, e quando Nabuccodonosor lo venne a sapere, pensò che questo non era rispettoso nei confronti di D-o e rincorse il messaggero per riscrivere la lettera. Secondo il Midràsh15, egli meritò di diventare re e alla fine riuscì a distruggere il Tempio16 per via dei tre passi indietro che fece per difendere l’onore di D-o.
Quando facciamo tre passi indietro, diciamo una breve preghiera per la pace e per la ricostruzione del Grande Tempio; preghiamo che, a differenza dei passi di Nabuccodonosor, i nostri passi portino alla ricostruzione del Bet Hamikdàsh17.
Che ciò avvenga presto ai nostri giorni!
Rav Yehuda Shurpin, Chabad.org
NOTE
1. Talmùd Yomà 53b
2. Per motivi simili prima di iniziare l’amidà, andiamo tre passi Avanti come segno di entusiasmo. Vedi Shulchan Aruch HaRav 95:2.
3. Shibbolei ha-Leket 18, citato dal Beit Yosef sul Tur, Orach Chaim 123
4. Vedi Shulchan Aruch, Orach Chaim 56:5; Terumat ha-Deshen 13; Shulchan Aruch ha-Rav 56:8; Shaarei Tefillah u-Minhag (di R. Mordechai Ashkenazi), p. 180.
5. Talmùd Shabbat Shabbat 88b.
6. Orchòt Chaim 1:27, citato nel Beit Yosef sul Tur, Orach Chaim 123.
7. Deuteronomio 4:11
8. Mechilta su Esodo 20:18
9. Orchòt Chaim e Beit Yosef citati in loco
10. Vedi R. Yaakov Emden, Mor u-Ketziah 123 per una discussione al riguardo
11. Rav Hai Gaon, citato nel Beit Yosef in loco
12. Ezechiele 1:7
13. Shulchan Aruch, Orach Chaim 95:1.
14. Rabbi Manoach, Sefer Menuchah sul Mishnè Torà, Hil. Tefillah 5:10, citato nel Beit Yosef in loco
15. Vedi Shaar ha-Kollel 9:39. Nella versione del Talmùd non è chiaro se è riuscito nel suo intento di riscrivere la lettera, tuttavia secondo il Midrash e lo Zohar sembra che abbia avuto successo. Vedi citazioni nella prossima nota.
16. Midrash Shir Hashirim Rabbah 3:6. Vedi il Maharsha sul Talmùd Sanhedrin 96a che spiega che egli preset re passi come è scritto nel Midrash e nello Zohar 1:202a a differenza di ciò che è scritto in Sanhedrin che citava Quattro passi.
17. Sefer ha-Chaim 4:8. Vedi anche Shaar ha-Kollel 9:39.
Da Pensieri di Torà, una pubblicazione settimanale pubblicata da Rav Ronnie Canarutto di Chabad a Viale Libia Roma.
Come mai il chazzàn (officiante) ripete l’Amidà?
Dopo l’Amidà che viene detta in silenzio, il chazzàn la ripete parola per parola ad alta voce. Come mai?
Risposta: Per rispondere al meglio a questa domanda, ci tocca tornare indietro di duemila e cinquecento anni.
Alla fine dell’esilio Babilonese gli ebrei iniziarono a tornare in Eretz Israèl. Fino a quel punto non esisteva un testo particolare né una struttura prescritta per le preghiere giornaliere. Spettava ad ogni individuo elaborare il suo testo. Tuttavia, constatando che i giovani non avevano abbastanza padronanza dell’ebraico per pregare bene, Ezra lo Scriba e gli Uomini della Grande Assemblea misero insieme il testo dell’Amidà e stabilirono che andasse recitata tre volte al giorno. Il problema però non si risolse. Tutto questo accadde prima dell’invenzione della carta e della macchina da stampa; i manoscritti erano rari e alla fine vi erano numerose persone che capivano l’ebraico ma non avevano modo di studiare e ricordarsi i testi necessari. Per rimediare, i Saggi stabilirono che un rappresentante della congregazione (in altre parole il chazzàn o lo shaliach tzibbùr) debba ripetere le preghiere. Ascoltando la ripetizione dell’Amidà e rispondendo “amen” (che significa “sono d’accordo con ciò che è stato detto”), gli ebrei illetterati potevano compiere il loro obbligo di pregare. Però c’è sempre l’altro lato della medaglia. Quanto detto funziona solo per qualcuno che non sa come pregare ma capisce ciò che si sta dicendo. Se sai pregare ma non capisci l’ebraico, non puoi uscire d’obbligo ascoltando la ripetizione (tranne per alcune preghiere di Rosh Hashanà e Kippùr che sono difficili e lunghe per tutti).
Come mai si ripete l’Amidà anche se non ci sono necessariamente persone che rientrano nella categoria presenti in sinagoga?
I saggi hanno stabilito che essa venga ripetuta ad alta voce ogni volta, altrimenti si dovrebbe interrogare ogni individuo presente per capire se rientra nella categoria adatta alla ripetizione o meno. Al giorno d’oggi quasi nessuno vi rientra, tuttavia c’è un altro motivo per la ripetizione, ovvero, perché in essa si recitano la kedushà e “modìm”. Secondo Maimonide, c’è un ulteriore vantaggio. Egli scrive “Che cosa è implicito nell’espressione ‘preghiera collettiva’? Una persona prega ad alta voce e tutti gli altri ascoltano. Ciò non dovrebbe essere fatto con meno di dieci uomini adulti. La guida della congregazione è uno di loro”. Questo sottintende che oltre al pregare insieme, ascoltare la ripetizione è il modo per compiere la mitzvà della preghiera collettiva.
I mistici spiegano che ogni cosa ha un motivo rivelato e uno nascosto. Il motivo profondo per la ripetizione dell’Amidà è attuale anche nella nostra epoca tecnologizzata di di app e open source. La ripetizione del chazzàn ha una forza spirituale particolare e rende possibile che le preghiere individuali raggiungano alti livelli. La Kabbalà spiega che le nostre preghiere possono essere dette anche senza miniàn mentre la ripetizione dell’Amidà può essere solo recitata con la presenza del miniàn. Infatti la ripetizione, rafforzata dai nostri numerosi “amen”, aiuta a perfezionare le nostre preghiere e ha la forza di unirle in una unitarietà che accede direttamente al trono di D-o.
È sicuramente un concetto che andrebbe approfondito con un rav.
Rav Yehuda Shurpin Chabad.org
Modè Anì
Ringrazio D-o per la mia vita!
Nuova giornata, nuove battaglie. In effetti si tratta di una battaglia che assume diversi aspetti: Io voglio contro Dovrei. Il primo campo di battaglia della giornata è il tuo letto, ed il primo colpo sparato è quando suona la sveglia. Io voglio preme il tasto postponi mentre Dovrei è pronto per alzarsi ed affrontare un'altra giornata.
È per questo motivo che la prima legge menzionata nel Codice delle Leggi Ebraica è: "Sii forte come un leone quando ti svegli al mattino per servire il tuo Creatore". Poiché se vinci questa battaglia tutto il resto, hai vinto.
D-o ha scelto di restituire la tua anima al tuo corpo e di concederti il dono della vita, di nuovo. Ogni notte la tua anima sale in cielo per ricaricarsi. Stamattina, D-o ha scelto di restituire la tua anima al tuo corpo e di concederti il dono della vita nuovamente, un segno sicuro che c'è un angolo buio nel mondo che aspetta che tu venga e lo illumini. D-o si fida di te e sa che sei in grado di svolgere questa missione.
Ora esprimi a voce:
מוֹדֶה אֲנִי לְפָנֶיךָ מֶלֶךְ חַי וְקַיָּם, שֶׁהֶחֱזַרְתָּ בִּי נִשְׁמָתִי בְּחֶמְלָה. רַבָּה אֱמוּנָתֶךָ.
Modè anì lefanecha melech chai vekaiam, she-he-chezarta bì nishmatì b’chemlà, rabà emunatecha. (Clicca qui per una versione audio.)
Ti ringrazio, Re vivente ed Eterno per avermi generosamente restituito la mia anima, grande è la Tua fedeltà.
Sono queste le prime parole che diciamo ogni mattina, ancora sdraiati nel letto. Infatti, usiamo i nostri primi momenti da svegli per ringraziare D-o per il dono della vita. A prescindere da ciò che abbiamo fatto il giorno prima, nulla può disturbare quelle prime parole pure.
Fai ancora fatica ad uscire dal letto? Immagina di stare sdraiato mentre un re o un capo di stato è in piedi vicino a te, in attesa che tu intraprenda una missione importante.
Ebbene, non è un re o un primo ministro, bensì Colui che crea loro ed il mondo intero, ogni giorno. Incluso oggi.
Perché si prega con i piedi uniti?
Piedi d’angeli
È scritto nel Talmùd che quando si recita l’Amidà, si dovrebbe somigliare agli angeli riguardo ai quali è scritto, “Le loro gambe erano una gamba dritta….” Siccome gli angeli appaiono con un piede, noi allineiamo i nostri piedi affinché essi sembrino come uno. Analogamente, quando diciamo la preghiera di Kedushà in cui santifichiamo D-o con le stesse parole usate dagli angeli, uniamo i nostri piedi.
Come i Kohanìm
Secondo un’altra opinione trovata nel Talmùd di Gerusalemme, si prega con i piedi uniti per assomigliare ai kohanìm, i sacerdoti, visto e considerato che le nostre preghiere sostituiscono i sacrifici che essi portavano al Tempio Santo. Quando i Kohanìm camminavano nel Tempio, essi camminavano con passi da bambino, in cui il tallone di un piede non si allungava oltre al dito dell’altro.
Altri spiegano che queste due tradizioni sono in realtà la stessa: i Kohanìm tenevano i piedi uniti per assomigliare agli angeli. Fare passi da bambino era il modo di camminare più simile alla posa statuaria degli angeli.
Solo D-o può provvedere
Oltre ai due motivi menzionati nel Talmùd, alcuni dicono che questa posa mostra che nessuno all’infuori di D-o può provvedere alle nostre necessità. Quando uniamo i nostri piedi come se fossero legati, mostriamo che siamo indifesi senza D-o.
Salire più in alto
Un altro motivo per il fatto che “imitiamo” gli angeli quando preghiamo è che di solito siamo presi dai nostri pensieri e dalle nostre attività quotidiane. La preghiera invece è il momento di abbandonare le distrazioni e concentrarsi solamente sul nostro rapporto con D-o. Cerchiamo quindi di emulare gli angeli che non hanno ego e riconoscono che non c’è nulla tranne D-o.
Aprire le porte del Cielo
Lo Zòhar quando riporta l’insegnamento Talmudico per cui preghiamo in un modo simile agli angeli: “Il Santo, Benedetto Egli Sia, dice agli angeli, ‘Se vedete persone eccezionali nelle loro preghiere che tengono i piedi insieme come voi, aprite le porte del Cielo affinché costoro possano entrare’”.
Che tutte le nostre preghiere vengano accettate subito, inclusa la preghiera per la redenzione finale, amèn!
Rav Yehuda Shurpin, Chabad.org
Da Pensieri di Torà, una pubblicazione settimanale pubblicata da Rav Ronnie Canarutto di Chabad a Viale Libia Roma.
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Originale su: https://it.chabad.org/library/article_cdo/aid/3494915/jewish/Le-Tre-Preghiere.htm
Secondo la legge ebraica abbiamo il dovere di pregare tre volte al giorno, la mattina, il pomeriggio e la sera. Tali preghiere sono denominate shachrìt, preghiera del mattino), minchà, preghiera del pomeriggio, e arvìt o ma’arìv, preghiera della sera.
I nostri saggi spiegano che l'usanza di pregare tre volte al giorno fu originariamente istituita dai nostri Patriarchi: Abramo, Isacco, e Giacobbe. Abramo introdusse la preghiera del mattino, Isacco del pomeriggio e Giacobbe ne aggiunse una la sera.
Nello Zohar e negli insegnamenti Chassidici Chabad, viene spiegato che ognuno dei tre Patriarchi rappresentò una qualità particolare nel servizio di D-o.
Abramo servì D-o con amore, Isacco con timore, Giacobbe con misericordia. Pur avendo uno le qualità dell'altro, ognuno di essi ne aveva una particolare posta più in evidenza. Abramo si distinse nella qualità della gentilezza o bontà, chessed, ed amore, ahavà. Isacco eccelse specialmente nella qualità della giustizia stretta, din e reverenza yirat Hashem, mentre Giacobbe le creditò entrambe, facendo risultare la combinazione in una nuova qualità, l'equilibrata e durevole virtù della verità emet e misericordia, rachamìm.
Noi, figli di Abramo, Isacco e Giacobbe, abbiamo ereditato tutte le tre qualità dei nostri Patriarchi, e queste ci abilitano nel servire D-o con amore, timore, misericordia.
La qualità della misericordia ci pervade quando realizziamo che la nostra anima è parte della Divinità e proviamo per essa pietà, così spesso distratta da D-o, a causa degli aspetti materiali della vita quotidiana.
Quando ricevemmo la Torà nel monte Sinai, il nostro stile di vita fu determinato da D-o. Torà vuol dire insegnamento, guida, istituzione poiché essa comprende ogni dettaglio della nostra vita quotidiana.
La Torà contiene 613 precetti tra essi vi è il comandamento “servire D-o con tutto il tuo cuore e tutta la tua anima”.
Come serviamo D-o con il cuore?
Pregandolo, così facendo, non solo adempiamo al comandamento di pregare D-o, ma anche ad altri comandamenti, come amare D-o, temerlo, che sono comandamenti separati.
Durante il primo millennio, e così, dal tempo di Moshe Rabbenu, non ci fu un ordine stabilito di preghiere.
Ciascuno aveva il dovere di pregare D-o quotidianamente, ma lo stile, le ricorrenze giornaliere dipendevano dall'individuo.
C'era comunque, un ordine preciso nel Beth Hamikdash in connessione con i sacrifici quotidiani, mattina e pomeriggio, mentre i sacrifici della sera si estendevano fino a notte nei giorni speciali, come Shabbatot, Rosh Chodesh festività vi erano anche sacrifici addizionali chiamate Musàf.
Dunque, non era forse raro per alcuni ebrei pregare tre volte al giorno, mattina, sera e notte, a loro proprio modo, il Re David per esempio, dichiarò che egli pregava tre volte al giorno, e così dicasi di Daniele (in Babilonia), il quale guardava in direzione di Gerusalemme.
È evidente che anche durante il periodo del primo Bet Hamikdash esistevano luoghi pubblici di preghiera chiamati Bet Hamikdash, che i Caldeani (babilonesi) distrussero insieme a Gerusalemme, ed il Bet Hamikdash.
Dopo che il Bet Hamikdash fu distrutto e gli ebrei condotti in cattività a Babilonia essi continuarono a riunirsi e pregare in congregazione. I luoghi di preghiera divennero come piccoli santuari - Bet Mikdash Me'at - ma durante gli anni dell'esilio, i bambini nati ed educati a Babilonia non avevano una conoscenza adeguata della lingua sacra (ebraico) e parlavano una lingua mista. Così, quando gli ebrei, passati i trent'anni d'esilio, tornarono alla terra madre, Ezra lo Scriba insieme ai profeti e i saggi, (120 membri in tutto) stabilirono il testo della preghiera giornaliera, Shemone Esre, l’Amidà - le diciotto benedizioni) e resero istituzione permanente e dovere nella vita ebraica recitare questa preghiera tre volte al giorno. Da allora ciò divenne parte della legge ebraica: pregare in tale ordine stabilito, tre volte al giorno, corrispondente ai sacrifici quotidiani del Bet Hamikdash con le preghiere di Musaf di Shabbat Rosh Chodesh e festività ed una speciale preghiera di chiusura di Yom Kippur.
Tali sono le parti principali delle preghiere quotidiane formulate dai nostri saggi: lo Shemà e l’Amidà, tutt'oggi parti essenziali del nostro servizio mattutino e serale, mentre l’Amidà è la parte principale del servizio di Minchà. I salmi quotidiani cantati dai Leviti nel Beth Hamikdash, entrarono a far parte della preghiera del mattino così come altri salmi di David, e altri ancora prima e dopo lo Shemà.
Dal tempo in cui la Mishnà fu redatta da Rabbi Judah il principe (anno 3910 circa - 500 anni dopo Ezra) e specialmente dall'epoca in cui fu completato il Talmùd (circa 300 anni più tardi o 1500 anni fa) l'ordine basilare delle nostre preghiere rimase formulato così come lo conosciamo ora.
Come mai si fanno Tre passi indietro dopo l'amidà e il kaddìsh?
Domanda: Alla fine del Kaddìsh e dell’Amidà si fanno tre passi indietro e si dice “osè shalòm”, una preghiera per la pace. Mi è stato spiegato che facciamo questi passi indietro come segno di rispetto, come faremmo se ci stessimo allontanando dal cospetto di un re. Come mai proprio tre passi? E perché preghiamo per la pace dopo i passi?
Risposta
Il Talmùd1 insegna che alla conclusione dell’Amidà si dovrebbe indietreggiare in modo rispettoso facendo tre passi indietro, e solamente dopo si dice “shalòm”, ovvero “pace” o “addio”.2
I commenti spiegano che i tre passi indietro mostrano che si sta lasciando un posto di santità passando a un posto più terreno. Come quando ci si congeda da un re al termine di un’udienza, così “ci congediamo” da D-o dopo queste preghiere speciali.3
Gran parte di questi motivi valgono anche per il Kaddìsh quando prendiamo tre passi indietro prima di dire shalòm4. Ma la domanda rimane: come mai proprio tre passi? Rav Yosef Caro cita alcune spiegazioni nel suo commento Bet Yosef.
La ritirata dei tre “mil”
Quando gli ebrei sentirono l’imponente suono della voce di D-o che dava la Torà al monte Sinài, reagirono ritirandosi per una distanza di tre “mil” (unità di lunghezza dell’epoca Talmudica5). Pertanto ricordiamo questo senso di timore riverenziale indietreggiando di tre passi alla conclusione del nostro incontro con D-o6.
Moshè e I divisori celesti
Quando Moshè salì sul monte Sinài per ricevere la Torà, “il monte bruciava con fuoco fin dentro ai cieli, con buio, una nuvola e un buio opaco”7. Il Midràsh spiega che l’espressione “buio, una nuvola e un buio opaco” si riferisce ai tre divisori celesti che Moshè attraversò quando arrivò e quando lasciò la Presenza Divina.8 Pertanto anche noi prendiamo tre passi indietro quando ci allontiamo dopo l’Amidà.9
Scendendo dall’Altare
Le nostre preghiere sostituiscono il servizio dei sacrifici che venivano offerti nel Bet Hamikdàsh, il Tempio Grande a Gerusalemme. In particolare, essi corrispondono alle offerte giornaliere chiamate tamìd che venivano portate sull’altare dal cohèn, il sacerdote; che poi scendeva dall’altare all’indietro. Siccome c’erano tre livelli di roccia tra l’altare e la rampa10, anche noi facciamo altrettanto quando lasciamo la Presenza Divina11.
La Profezia di Ezechiele
Quando preghiamo, cerchiamo di essere come angeli. Un verso nel Libro di Ezechiele descrive la posizione degli angeli così: “e le loro gambe erano una gamba dritta”12. Questo versetto è la fonte della norma che richiede che si tengano i piedi uniti durante l’Amidà13 ed è anche la fonte dei tre passi indietro: il minimo per il plurale di ‘gambe’ è due, più la gamba unica, abbiamo un totale di tre passi.14
Corrispondenti ai passi di Nabuccodonosor
Infine, all’inizio della carriera di Nabuccodonosor, prima che diventasse re e distruggesse il Bet Hamikdàsh, egli era lo scriba reale del re Merodach-Baladan di Babilonia. Accadde che il re fece inviare una lettera al Re Hezechia per congratularsi della sua miracolosa guarigione. La lettera non menzionava D-o, e quando Nabuccodonosor lo venne a sapere, pensò che questo non era rispettoso nei confronti di D-o e rincorse il messaggero per riscrivere la lettera. Secondo il Midràsh15, egli meritò di diventare re e alla fine riuscì a distruggere il Tempio16 per via dei tre passi indietro che fece per difendere l’onore di D-o.
Quando facciamo tre passi indietro, diciamo una breve preghiera per la pace e per la ricostruzione del Grande Tempio; preghiamo che, a differenza dei passi di Nabuccodonosor, i nostri passi portino alla ricostruzione del Bet Hamikdàsh17.
Che ciò avvenga presto ai nostri giorni!
Rav Yehuda Shurpin, Chabad.org
NOTE
1. Talmùd Yomà 53b
2. Per motivi simili prima di iniziare l’amidà, andiamo tre passi Avanti come segno di entusiasmo. Vedi Shulchan Aruch HaRav 95:2.
3. Shibbolei ha-Leket 18, citato dal Beit Yosef sul Tur, Orach Chaim 123
4. Vedi Shulchan Aruch, Orach Chaim 56:5; Terumat ha-Deshen 13; Shulchan Aruch ha-Rav 56:8; Shaarei Tefillah u-Minhag (di R. Mordechai Ashkenazi), p. 180.
5. Talmùd Shabbat Shabbat 88b.
6. Orchòt Chaim 1:27, citato nel Beit Yosef sul Tur, Orach Chaim 123.
7. Deuteronomio 4:11
8. Mechilta su Esodo 20:18
9. Orchòt Chaim e Beit Yosef citati in loco
10. Vedi R. Yaakov Emden, Mor u-Ketziah 123 per una discussione al riguardo
11. Rav Hai Gaon, citato nel Beit Yosef in loco
12. Ezechiele 1:7
13. Shulchan Aruch, Orach Chaim 95:1.
14. Rabbi Manoach, Sefer Menuchah sul Mishnè Torà, Hil. Tefillah 5:10, citato nel Beit Yosef in loco
15. Vedi Shaar ha-Kollel 9:39. Nella versione del Talmùd non è chiaro se è riuscito nel suo intento di riscrivere la lettera, tuttavia secondo il Midrash e lo Zohar sembra che abbia avuto successo. Vedi citazioni nella prossima nota.
16. Midrash Shir Hashirim Rabbah 3:6. Vedi il Maharsha sul Talmùd Sanhedrin 96a che spiega che egli preset re passi come è scritto nel Midrash e nello Zohar 1:202a a differenza di ciò che è scritto in Sanhedrin che citava Quattro passi.
17. Sefer ha-Chaim 4:8. Vedi anche Shaar ha-Kollel 9:39.
Da Pensieri di Torà, una pubblicazione settimanale pubblicata da Rav Ronnie Canarutto di Chabad a Viale Libia Roma.
Come mai il chazzàn (officiante) ripete l’Amidà?
Dopo l’Amidà che viene detta in silenzio, il chazzàn la ripete parola per parola ad alta voce. Come mai?
Risposta: Per rispondere al meglio a questa domanda, ci tocca tornare indietro di duemila e cinquecento anni.
Alla fine dell’esilio Babilonese gli ebrei iniziarono a tornare in Eretz Israèl. Fino a quel punto non esisteva un testo particolare né una struttura prescritta per le preghiere giornaliere. Spettava ad ogni individuo elaborare il suo testo. Tuttavia, constatando che i giovani non avevano abbastanza padronanza dell’ebraico per pregare bene, Ezra lo Scriba e gli Uomini della Grande Assemblea misero insieme il testo dell’Amidà e stabilirono che andasse recitata tre volte al giorno. Il problema però non si risolse. Tutto questo accadde prima dell’invenzione della carta e della macchina da stampa; i manoscritti erano rari e alla fine vi erano numerose persone che capivano l’ebraico ma non avevano modo di studiare e ricordarsi i testi necessari. Per rimediare, i Saggi stabilirono che un rappresentante della congregazione (in altre parole il chazzàn o lo shaliach tzibbùr) debba ripetere le preghiere. Ascoltando la ripetizione dell’Amidà e rispondendo “amen” (che significa “sono d’accordo con ciò che è stato detto”), gli ebrei illetterati potevano compiere il loro obbligo di pregare. Però c’è sempre l’altro lato della medaglia. Quanto detto funziona solo per qualcuno che non sa come pregare ma capisce ciò che si sta dicendo. Se sai pregare ma non capisci l’ebraico, non puoi uscire d’obbligo ascoltando la ripetizione (tranne per alcune preghiere di Rosh Hashanà e Kippùr che sono difficili e lunghe per tutti).
Come mai si ripete l’Amidà anche se non ci sono necessariamente persone che rientrano nella categoria presenti in sinagoga?
I saggi hanno stabilito che essa venga ripetuta ad alta voce ogni volta, altrimenti si dovrebbe interrogare ogni individuo presente per capire se rientra nella categoria adatta alla ripetizione o meno. Al giorno d’oggi quasi nessuno vi rientra, tuttavia c’è un altro motivo per la ripetizione, ovvero, perché in essa si recitano la kedushà e “modìm”. Secondo Maimonide, c’è un ulteriore vantaggio. Egli scrive “Che cosa è implicito nell’espressione ‘preghiera collettiva’? Una persona prega ad alta voce e tutti gli altri ascoltano. Ciò non dovrebbe essere fatto con meno di dieci uomini adulti. La guida della congregazione è uno di loro”. Questo sottintende che oltre al pregare insieme, ascoltare la ripetizione è il modo per compiere la mitzvà della preghiera collettiva.
I mistici spiegano che ogni cosa ha un motivo rivelato e uno nascosto. Il motivo profondo per la ripetizione dell’Amidà è attuale anche nella nostra epoca tecnologizzata di di app e open source. La ripetizione del chazzàn ha una forza spirituale particolare e rende possibile che le preghiere individuali raggiungano alti livelli. La Kabbalà spiega che le nostre preghiere possono essere dette anche senza miniàn mentre la ripetizione dell’Amidà può essere solo recitata con la presenza del miniàn. Infatti la ripetizione, rafforzata dai nostri numerosi “amen”, aiuta a perfezionare le nostre preghiere e ha la forza di unirle in una unitarietà che accede direttamente al trono di D-o.
È sicuramente un concetto che andrebbe approfondito con un rav.
Rav Yehuda Shurpin Chabad.org
Modè Anì
Ringrazio D-o per la mia vita!
Nuova giornata, nuove battaglie. In effetti si tratta di una battaglia che assume diversi aspetti: Io voglio contro Dovrei. Il primo campo di battaglia della giornata è il tuo letto, ed il primo colpo sparato è quando suona la sveglia. Io voglio preme il tasto postponi mentre Dovrei è pronto per alzarsi ed affrontare un'altra giornata.
È per questo motivo che la prima legge menzionata nel Codice delle Leggi Ebraica è: "Sii forte come un leone quando ti svegli al mattino per servire il tuo Creatore". Poiché se vinci questa battaglia tutto il resto, hai vinto.
D-o ha scelto di restituire la tua anima al tuo corpo e di concederti il dono della vita, di nuovo. Ogni notte la tua anima sale in cielo per ricaricarsi. Stamattina, D-o ha scelto di restituire la tua anima al tuo corpo e di concederti il dono della vita nuovamente, un segno sicuro che c'è un angolo buio nel mondo che aspetta che tu venga e lo illumini. D-o si fida di te e sa che sei in grado di svolgere questa missione.
Ora esprimi a voce:
מוֹדֶה אֲנִי לְפָנֶיךָ מֶלֶךְ חַי וְקַיָּם, שֶׁהֶחֱזַרְתָּ בִּי נִשְׁמָתִי בְּחֶמְלָה. רַבָּה אֱמוּנָתֶךָ.
Modè anì lefanecha melech chai vekaiam, she-he-chezarta bì nishmatì b’chemlà, rabà emunatecha. (Clicca qui per una versione audio.)
Ti ringrazio, Re vivente ed Eterno per avermi generosamente restituito la mia anima, grande è la Tua fedeltà.
Sono queste le prime parole che diciamo ogni mattina, ancora sdraiati nel letto. Infatti, usiamo i nostri primi momenti da svegli per ringraziare D-o per il dono della vita. A prescindere da ciò che abbiamo fatto il giorno prima, nulla può disturbare quelle prime parole pure.
Fai ancora fatica ad uscire dal letto? Immagina di stare sdraiato mentre un re o un capo di stato è in piedi vicino a te, in attesa che tu intraprenda una missione importante.
Ebbene, non è un re o un primo ministro, bensì Colui che crea loro ed il mondo intero, ogni giorno. Incluso oggi.
Perché si prega con i piedi uniti?
Piedi d’angeli
È scritto nel Talmùd che quando si recita l’Amidà, si dovrebbe somigliare agli angeli riguardo ai quali è scritto, “Le loro gambe erano una gamba dritta….” Siccome gli angeli appaiono con un piede, noi allineiamo i nostri piedi affinché essi sembrino come uno. Analogamente, quando diciamo la preghiera di Kedushà in cui santifichiamo D-o con le stesse parole usate dagli angeli, uniamo i nostri piedi.
Come i Kohanìm
Secondo un’altra opinione trovata nel Talmùd di Gerusalemme, si prega con i piedi uniti per assomigliare ai kohanìm, i sacerdoti, visto e considerato che le nostre preghiere sostituiscono i sacrifici che essi portavano al Tempio Santo. Quando i Kohanìm camminavano nel Tempio, essi camminavano con passi da bambino, in cui il tallone di un piede non si allungava oltre al dito dell’altro.
Altri spiegano che queste due tradizioni sono in realtà la stessa: i Kohanìm tenevano i piedi uniti per assomigliare agli angeli. Fare passi da bambino era il modo di camminare più simile alla posa statuaria degli angeli.
Solo D-o può provvedere
Oltre ai due motivi menzionati nel Talmùd, alcuni dicono che questa posa mostra che nessuno all’infuori di D-o può provvedere alle nostre necessità. Quando uniamo i nostri piedi come se fossero legati, mostriamo che siamo indifesi senza D-o.
Salire più in alto
Un altro motivo per il fatto che “imitiamo” gli angeli quando preghiamo è che di solito siamo presi dai nostri pensieri e dalle nostre attività quotidiane. La preghiera invece è il momento di abbandonare le distrazioni e concentrarsi solamente sul nostro rapporto con D-o. Cerchiamo quindi di emulare gli angeli che non hanno ego e riconoscono che non c’è nulla tranne D-o.
Aprire le porte del Cielo
Lo Zòhar quando riporta l’insegnamento Talmudico per cui preghiamo in un modo simile agli angeli: “Il Santo, Benedetto Egli Sia, dice agli angeli, ‘Se vedete persone eccezionali nelle loro preghiere che tengono i piedi insieme come voi, aprite le porte del Cielo affinché costoro possano entrare’”.
Che tutte le nostre preghiere vengano accettate subito, inclusa la preghiera per la redenzione finale, amèn!
Rav Yehuda Shurpin, Chabad.org
Da Pensieri di Torà, una pubblicazione settimanale pubblicata da Rav Ronnie Canarutto di Chabad a Viale Libia Roma.
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