Monte Sinai biblico
Da Wikipedia
Il monte Sinai, "solitamente" identificato col monte Oreb, è il luogo in cui, secondo il Libro dell'Esodo, Mosè fu chiamato da Dio attraverso il roveto ardente (Es 3,1 seguenti) e molti anni dopo ricevette le tavole della legge del decalogo (Es 19,10 seguenti).
Probabili identificazioni
Mentre le fonti Jahvista (J) e Sacerdotale (P) usano il nome Sinai, quelle Elohista (E) e Deuteronomista (D) usano il nome Oreb.
Anche per il monte Sinai-Oreb, come per molte delle località descritte nell'Esodo, si è persa la memoria toponomastica delle località descritte. Sono state proposte diverse identificazioni:
Gebel Musa (letteralmente montagna di Mosè in arabo), nel sud della penisola del Sinai. Questa identificazione risale ai primi secoli dell'era cristiana ed è attualmente l'ipotesi più accreditata. Secondo un'antica tradizione che risale al 330 d.C., Elena madre dell'imperatore Costantino, identificò il Monte Oreb citato nella Bibbia con un'altura a sud della penisola del Sinai, rinominata Monte di Mosè, in arabo Gebel Musa. L'imperatore Giustiniano nel 527 d.C. fece edificare in una valle sulle sue pendici, nel luogo identificato del roveto ardente, la Basilica della Trasfigurazione, che includeva la primitiva chiesa di Sant'Elena Imperatrice, e che nel IX secolo fu dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, l'odierno Monastero di Santa Caterina.
Har Karkom (Montagna di zafferano in ebraico) o Gebel Ideid (arabo), nel Negev. Nel 1983 l'archeologo Emmanuel Anati trovò un santuario all'aperto risalente al paleolitico e usato ininterrottamente almeno fino all'età del bronzo. Dalle raffigurazioni presenti sul posto è stato dedotto che il santuario fosse dedicato al dio Luna semitico Sin, il cui nome avrebbe originato quello del Sinai . Sulla vetta di Har Karkom è inoltre presente una piccola grotta che ricorderebbe quella citata dall'Antico Testamento in cui trovarono riparo Mosè (Es 33,22) ed Elia (1Re 19,9), quando comparve loro Dio.
Monte Seir, nella regione storica di Edom, presso il confine tra l'attuale Stato d'Israele e Giordania.
un monte vulcanico in Arabia: Gebel Baggir, oppure Gebel al-Nour, oppure Hala-'l Badr, oppure Al-Manifa, oppure Gebel al-Lawz.
Secondo l'esegesi ebraica sino ad oggi il luogo risulta sconosciuto.
Da Wikipedia
Il monte Sinai, "solitamente" identificato col monte Oreb, è il luogo in cui, secondo il Libro dell'Esodo, Mosè fu chiamato da Dio attraverso il roveto ardente (Es 3,1 seguenti) e molti anni dopo ricevette le tavole della legge del decalogo (Es 19,10 seguenti).
Probabili identificazioni
Mentre le fonti Jahvista (J) e Sacerdotale (P) usano il nome Sinai, quelle Elohista (E) e Deuteronomista (D) usano il nome Oreb.
Anche per il monte Sinai-Oreb, come per molte delle località descritte nell'Esodo, si è persa la memoria toponomastica delle località descritte. Sono state proposte diverse identificazioni:
Gebel Musa (letteralmente montagna di Mosè in arabo), nel sud della penisola del Sinai. Questa identificazione risale ai primi secoli dell'era cristiana ed è attualmente l'ipotesi più accreditata. Secondo un'antica tradizione che risale al 330 d.C., Elena madre dell'imperatore Costantino, identificò il Monte Oreb citato nella Bibbia con un'altura a sud della penisola del Sinai, rinominata Monte di Mosè, in arabo Gebel Musa. L'imperatore Giustiniano nel 527 d.C. fece edificare in una valle sulle sue pendici, nel luogo identificato del roveto ardente, la Basilica della Trasfigurazione, che includeva la primitiva chiesa di Sant'Elena Imperatrice, e che nel IX secolo fu dedicata a Santa Caterina d'Alessandria, l'odierno Monastero di Santa Caterina.
Har Karkom (Montagna di zafferano in ebraico) o Gebel Ideid (arabo), nel Negev. Nel 1983 l'archeologo Emmanuel Anati trovò un santuario all'aperto risalente al paleolitico e usato ininterrottamente almeno fino all'età del bronzo. Dalle raffigurazioni presenti sul posto è stato dedotto che il santuario fosse dedicato al dio Luna semitico Sin, il cui nome avrebbe originato quello del Sinai . Sulla vetta di Har Karkom è inoltre presente una piccola grotta che ricorderebbe quella citata dall'Antico Testamento in cui trovarono riparo Mosè (Es 33,22) ed Elia (1Re 19,9), quando comparve loro Dio.
Monte Seir, nella regione storica di Edom, presso il confine tra l'attuale Stato d'Israele e Giordania.
un monte vulcanico in Arabia: Gebel Baggir, oppure Gebel al-Nour, oppure Hala-'l Badr, oppure Al-Manifa, oppure Gebel al-Lawz.
Secondo l'esegesi ebraica sino ad oggi il luogo risulta sconosciuto.
HAR KARKOM
Sulle orme di Mosè: Con Egeria sul "vero" Sinai
Una storia vera. Fatta di strade polverose nel deserto, carri, nemici, cieli azzurri, rocce, pozzi d'acqua, volti di uomini. Il racconto della Bibbia su Mosè - che narra come Dio entra nella storia umana - non ha nulla a che fare con i miti degli altri popoli, ma è fatto di vivida quotidianità.
Ancor più dettagliate sono le vicende di Gesù - Dio fatto uomo - riferite dai Vangeli. Proprio "per riscoprire le tracce della presenza amorosa di Dio accanto all'uomo", il papa è oggi pellegrino sul Sinai e a marzo andrà fra i paesi, le strade e le città dove ha vissuto il Salvatore.
Per la verità molta teologia cattolica di oggi ha fatto proprie, in modo più o meno sfumato, le tesi del vecchio razionalismo. "Sul Mosè storico" recita un manuale su cui si formano seminaristi e preti "non si è in grado di raggiungere una certezza storica verificata" e dunque "esodo, cammino nel deserto, Sinai e conquista della terra non sono 'dimostrabili' come storicamente attendibili".
Il papa - con il suo pellegrinaggio - afferma che però la Bibbia non è un mito. Adesso anche le più moderne ricerche archeologiche danno ragione a lui e alla tradizione, pure per quanto riguarda Mosè. Proprio sulla penisola del Sinai si sono scoperte infatti testimonianze archeologiche impressionanti sugli eventi narrati dall'Esodo.
Tuttavia non sul monte Jebel Musa, dove sorge il monastero di Santa Caterina che viene ora visitato dal papa. Si identificò lì il monte santo di Mosè in epoca bizantina (IV-V secolo d.C.). Ma è dislocato troppo a sud e c'è una tradizione più antica e più fondata.
L'ha riscoperta Emmanuel Anati che ormai da decenni guida le ricerche sul massiccio di Har Karkom, più a nord, in territorio israeliano. Se la zona del Santa Caterina non ha nulla che corrisponda alle descrizioni topografiche contenute nell'Esodo, questa invece corrisponde alla perfezione.
Anati lo ripete nel suo ultimo libro Har Karkom. Venti anni di ricerche archeologiche (Edizioni del Centro studi camuni), dove ha riprodotto i più impressionanti graffiti scoperti nell'area. Sono datati all'epoca di Mosè ed evocano chiaramente le vicende bibliche: uno raffigura due tavole divise in dieci quadri, un altro la verga che diventa serpente, poi l'occhio di Dio, l'uomo orante. Ai piedi della montagna, rimasta deserta e intatta per millenni, sono stati ritrovati - spiega Anati - perfino "dodici cippi che fronteggiano una piattaforma di pietra. Ciò richiama il passo dell'Esodo (24,4): 'E Mosè levatosi per tempo eresse ai piedi del monte un altare e dodici cippi, per le dodici tribù d'Israele'".
Adesso Il Giornale può anticipare un'altra scoperta che conferma l'antichità dell'identificazione di Har Karkom con il monte di Mosè. La propone Flavio Barbiero, ricercatore dell'équipe di Anati. Barbiero ha studiato il "Diario di viaggio" scritto nel IV secolo da una pellegrina cristiana di nome Egeria. E' un documento che fu scoperto in un manoscritto dell'XI secolo ritrovato ad Arezzo in un codice proveniente dall'Abbazia di Montecassino.
Sono note di una donna intelligente, colta e coraggiosa, che fra il 381 e il 383 d.C. (sono gli anni in cui la cristianità ha personaggi del calibro di Agostino, Ambrogio, Girolamo), dalla Spagna volle andare in pellegrinaggio fino alla Terra Santa, spinta dal desiderio di "vedere" i luoghi di Gesù. Poi da Gerusalemme, dove si stabilì per qualche anno, volle visitare anche i luoghi dei patriarchi biblici.
Il diario è una testimonianza entusiasta scritta per le sue amiche (o consorelle) rimaste a casa. Integra è la parte che riferisce il pellegrinaggio sul monte santo di Mosè, fatto nel dicembre 383, dal sabato 16 fino al lunedì 18, con due pernottamenti sul posto. Si tratta di un diario commovente - per la fede di Egeria - e straordinariamente particolareggiato.
"A quell'epoca" spiega Barbiero "esisteva già da tempo, sul Jebel Musa, nel sud del Sinai, una comunità di monaci cristiani, che identificavano quello come il monte di Dio. Egeria era cristiana e quindi avrebbe dovuto recarsi laggiù, al monastero di santa Caterina. In effetti gli esegeti dell'opera credono che quello sia stato il suo pellegrinaggio. Ma in realtà fra le sue pagine e quella zona non c'è alcuna corrispondenza. Non corrispondono né le descrizioni dei luoghi, né i tempi di percorrenza, né i manufatti che illustra".
Dunque dove si recò Egeria? A quale località corrisponde il suo racconto? Barbiero ha avanzato l'ipotesi che si tratti proprio di Har Karkom. Così, durante una delle tante campagne archeologiche su questo monte, ha preso il diario di Egeria e ha provato a usarlo come "guida".
Il risultato è stato sbalorditivo. Perfino nei particolari, come l'esistenza a valle di un'ottantina di tombe ("i sepolcri dell'ingordigia"). I tempi di percorrenza dei vari tratti, i panorami descritti, le dimensioni delle valli corrispondono in tutto. Egeria trova sul posto anche comunità di monaci, un prete e una chiesina (ci sono ancora i resti), dice perfino che gli asceti le donarono delle mele che crescevano sul monte e in effetti sono stati trovati piccoli terrazzamenti agricoli.
"Corrisponde in tutto", conclude Barbiero. Questa scoperta apre un interrogativo: perché - sia fra i cristiani che fra gli ebrei - si è persa la memoria del vero monte santo di Mosè? Perché l'ufficialità imperiale volle accreditare il monte del Santa Caterina?
Il Diario di Egeria (oggi ripubblicato dalle Paoline) potrebbe anche sciogliere un enigma. Nei primi secoli cristiani si parlava di due monti sacri, uno di fronte all'altro: quello dove Mosè ricevette le tavole della Legge e l'Horeb su cui era salito il profeta Elia. In effetti anche Egeria parla dei due monti distinti e vicini. Nella Bibbia sono però la stessa cosa.
"Ebbene proprio nell'area di Har Karkom" spiega Barbiero "è chiaramente testimoniata sullo stesso massiccio l'esistenza di due vette, entrambe con caratteri sacri". Questo spiega l'equivoco. Ma l'ipotesi dei due monti sacri potrebbe avere clamorose conferme dalle prossime campagne di scavi.
Sulle orme di Mosè: Con Egeria sul "vero" Sinai
Una storia vera. Fatta di strade polverose nel deserto, carri, nemici, cieli azzurri, rocce, pozzi d'acqua, volti di uomini. Il racconto della Bibbia su Mosè - che narra come Dio entra nella storia umana - non ha nulla a che fare con i miti degli altri popoli, ma è fatto di vivida quotidianità.
Ancor più dettagliate sono le vicende di Gesù - Dio fatto uomo - riferite dai Vangeli. Proprio "per riscoprire le tracce della presenza amorosa di Dio accanto all'uomo", il papa è oggi pellegrino sul Sinai e a marzo andrà fra i paesi, le strade e le città dove ha vissuto il Salvatore.
Per la verità molta teologia cattolica di oggi ha fatto proprie, in modo più o meno sfumato, le tesi del vecchio razionalismo. "Sul Mosè storico" recita un manuale su cui si formano seminaristi e preti "non si è in grado di raggiungere una certezza storica verificata" e dunque "esodo, cammino nel deserto, Sinai e conquista della terra non sono 'dimostrabili' come storicamente attendibili".
Il papa - con il suo pellegrinaggio - afferma che però la Bibbia non è un mito. Adesso anche le più moderne ricerche archeologiche danno ragione a lui e alla tradizione, pure per quanto riguarda Mosè. Proprio sulla penisola del Sinai si sono scoperte infatti testimonianze archeologiche impressionanti sugli eventi narrati dall'Esodo.
Tuttavia non sul monte Jebel Musa, dove sorge il monastero di Santa Caterina che viene ora visitato dal papa. Si identificò lì il monte santo di Mosè in epoca bizantina (IV-V secolo d.C.). Ma è dislocato troppo a sud e c'è una tradizione più antica e più fondata.
L'ha riscoperta Emmanuel Anati che ormai da decenni guida le ricerche sul massiccio di Har Karkom, più a nord, in territorio israeliano. Se la zona del Santa Caterina non ha nulla che corrisponda alle descrizioni topografiche contenute nell'Esodo, questa invece corrisponde alla perfezione.
Anati lo ripete nel suo ultimo libro Har Karkom. Venti anni di ricerche archeologiche (Edizioni del Centro studi camuni), dove ha riprodotto i più impressionanti graffiti scoperti nell'area. Sono datati all'epoca di Mosè ed evocano chiaramente le vicende bibliche: uno raffigura due tavole divise in dieci quadri, un altro la verga che diventa serpente, poi l'occhio di Dio, l'uomo orante. Ai piedi della montagna, rimasta deserta e intatta per millenni, sono stati ritrovati - spiega Anati - perfino "dodici cippi che fronteggiano una piattaforma di pietra. Ciò richiama il passo dell'Esodo (24,4): 'E Mosè levatosi per tempo eresse ai piedi del monte un altare e dodici cippi, per le dodici tribù d'Israele'".
Adesso Il Giornale può anticipare un'altra scoperta che conferma l'antichità dell'identificazione di Har Karkom con il monte di Mosè. La propone Flavio Barbiero, ricercatore dell'équipe di Anati. Barbiero ha studiato il "Diario di viaggio" scritto nel IV secolo da una pellegrina cristiana di nome Egeria. E' un documento che fu scoperto in un manoscritto dell'XI secolo ritrovato ad Arezzo in un codice proveniente dall'Abbazia di Montecassino.
Sono note di una donna intelligente, colta e coraggiosa, che fra il 381 e il 383 d.C. (sono gli anni in cui la cristianità ha personaggi del calibro di Agostino, Ambrogio, Girolamo), dalla Spagna volle andare in pellegrinaggio fino alla Terra Santa, spinta dal desiderio di "vedere" i luoghi di Gesù. Poi da Gerusalemme, dove si stabilì per qualche anno, volle visitare anche i luoghi dei patriarchi biblici.
Il diario è una testimonianza entusiasta scritta per le sue amiche (o consorelle) rimaste a casa. Integra è la parte che riferisce il pellegrinaggio sul monte santo di Mosè, fatto nel dicembre 383, dal sabato 16 fino al lunedì 18, con due pernottamenti sul posto. Si tratta di un diario commovente - per la fede di Egeria - e straordinariamente particolareggiato.
"A quell'epoca" spiega Barbiero "esisteva già da tempo, sul Jebel Musa, nel sud del Sinai, una comunità di monaci cristiani, che identificavano quello come il monte di Dio. Egeria era cristiana e quindi avrebbe dovuto recarsi laggiù, al monastero di santa Caterina. In effetti gli esegeti dell'opera credono che quello sia stato il suo pellegrinaggio. Ma in realtà fra le sue pagine e quella zona non c'è alcuna corrispondenza. Non corrispondono né le descrizioni dei luoghi, né i tempi di percorrenza, né i manufatti che illustra".
Dunque dove si recò Egeria? A quale località corrisponde il suo racconto? Barbiero ha avanzato l'ipotesi che si tratti proprio di Har Karkom. Così, durante una delle tante campagne archeologiche su questo monte, ha preso il diario di Egeria e ha provato a usarlo come "guida".
Il risultato è stato sbalorditivo. Perfino nei particolari, come l'esistenza a valle di un'ottantina di tombe ("i sepolcri dell'ingordigia"). I tempi di percorrenza dei vari tratti, i panorami descritti, le dimensioni delle valli corrispondono in tutto. Egeria trova sul posto anche comunità di monaci, un prete e una chiesina (ci sono ancora i resti), dice perfino che gli asceti le donarono delle mele che crescevano sul monte e in effetti sono stati trovati piccoli terrazzamenti agricoli.
"Corrisponde in tutto", conclude Barbiero. Questa scoperta apre un interrogativo: perché - sia fra i cristiani che fra gli ebrei - si è persa la memoria del vero monte santo di Mosè? Perché l'ufficialità imperiale volle accreditare il monte del Santa Caterina?
Il Diario di Egeria (oggi ripubblicato dalle Paoline) potrebbe anche sciogliere un enigma. Nei primi secoli cristiani si parlava di due monti sacri, uno di fronte all'altro: quello dove Mosè ricevette le tavole della Legge e l'Horeb su cui era salito il profeta Elia. In effetti anche Egeria parla dei due monti distinti e vicini. Nella Bibbia sono però la stessa cosa.
"Ebbene proprio nell'area di Har Karkom" spiega Barbiero "è chiaramente testimoniata sullo stesso massiccio l'esistenza di due vette, entrambe con caratteri sacri". Questo spiega l'equivoco. Ma l'ipotesi dei due monti sacri potrebbe avere clamorose conferme dalle prossime campagne di scavi.
Har Karkom interroga l'esegesi e la teologia. Un primo bilancio della ricezione dell'ipotesi di E. Anati nei dibattiti sulle origini di Israele. Vedi QUI
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