RABBI AKIVA
Akiva ben Joseph, semplicemente noto come Rabbi Akiva (in ebraico: רבי עקיבא; Lod (Lidda), – Tiberiade, 137), è stato un rabbino ed erudito ebreo tanna, martirizzato e ucciso dai romani. Vedi su Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Grande autorità della tradizione ebraica ed uno dei principali contributori all'Halakha, alla Mishnah e ai midrashim. Viene citato nel Talmud come Rosh la-Chakhamim ("Capo di tutti i Saggi"), ed è considerato come uno dei primi fondatori dell'ebraismo rabbinico. È il settimo Saggio più citato della Mishnah.
Il Martirio
Il Talmud narra che i romani, con l'intento di eliminare la pratica dell'ebraismo e gli ebrei, proibirono ai loro Maestri di insegnare la Torah. Nonostante questa proibizione, punibile con la morte, Rabbi Akiva rifiutò di ottemperare al decreto e fu imprigionato e condannato a morte.
Rabbanim suoi allievi furono: Meir, Yehudah, Yosseh, Shimon, Elazar ben Shamua, Yochannan Hasandler, Eliezer ben Yaakov
Una "storia"
La Torah orale racconta che Rabbi Akiva ebbe un asino, un gallo, un lume e delle pergamene di studio: arrivò il vento e spense il lume, una fiera "si prese l'asino" ed il gallo scappò; egli rimase nello stesso posto poiché effettivamente impossibilitato per l'accaduto. Presto venne a conoscenza di un episodio accaduto dove egli avrebbe voluto andare: dei banditi posero assedio e fecero razzia. Egli ebbe fede e riconobbe la provvidenza divina, anche "individuale".
Grande autorità della tradizione ebraica ed uno dei principali contributori all'Halakha, alla Mishnah e ai midrashim. Viene citato nel Talmud come Rosh la-Chakhamim ("Capo di tutti i Saggi"), ed è considerato come uno dei primi fondatori dell'ebraismo rabbinico. È il settimo Saggio più citato della Mishnah.
Il Martirio
Il Talmud narra che i romani, con l'intento di eliminare la pratica dell'ebraismo e gli ebrei, proibirono ai loro Maestri di insegnare la Torah. Nonostante questa proibizione, punibile con la morte, Rabbi Akiva rifiutò di ottemperare al decreto e fu imprigionato e condannato a morte.
Rabbanim suoi allievi furono: Meir, Yehudah, Yosseh, Shimon, Elazar ben Shamua, Yochannan Hasandler, Eliezer ben Yaakov
Una "storia"
La Torah orale racconta che Rabbi Akiva ebbe un asino, un gallo, un lume e delle pergamene di studio: arrivò il vento e spense il lume, una fiera "si prese l'asino" ed il gallo scappò; egli rimase nello stesso posto poiché effettivamente impossibilitato per l'accaduto. Presto venne a conoscenza di un episodio accaduto dove egli avrebbe voluto andare: dei banditi posero assedio e fecero razzia. Egli ebbe fede e riconobbe la provvidenza divina, anche "individuale".
Il Significato della Vita di Rabbi Akiva
©Natalia Kadish
Durante i quarantanove giorni che intercorrono tra Pèssach e Shavu’òt (La festa della Promulgazione della Torà) si tiene la Sefiràt Ha’òmer (il Conteggio dello ‘Omer). Il trentatreesimo giorno dell‘Omer, chiamato Lag ba-‘Omer, è celebrato con gioia, perché segna la fine dell’epidemia che colpì tanto duramente gli studenti dell’Accademia ove il famoso rabbi ‘Akiva insegnava la Torà.
Tanto la storia della vita di rabbi ‘Akiva, quanto ciò che successe ai suoi allievi, ci reca un messaggio significativo.
Il Talmùd racconta che rabbi ‘Akiva dovette lottare contro molte difficoltà quando decise di dedicare la sua vita allo studio delle Torà. Era giunto poverissimo all’età di 40 anni, senza aver ricevuto mai alcuna istruzione. Un giorno, osservando un foro che il continuo gocciolio dell’acqua aveva scavato nella roccia, disse a se stesso: «La roccia è dura, l’acqua è molle e le gocce sono piccole. Eppure, gocciando senza tregua, giorno dopo giorno, mese dopo mese, l’acqua ha intaccato la roccia! Certamente anch’io, se avrò fermezza e perseveranza, potrò superare gli ostacoli e diventare un Maestro».
Infatti, anni dopo, rabbi ‘Akiva dirigeva un’Accademia ove si insegnava la Torà a ben 24000 studenti!
Questo episodio, classico nella memoria ebraica, dimostra che non è mai troppo tardi per tornare alla Torà e all’osservanza dei precetti. Questo è uno degli insegnamenti che possiamo trarre dalla vita di rabbi ‘Akiva.
Per quanto riguarda i suoi allievi, la loro personalità e il loro comportamento ci danno un’altra lezione.
Gli studenti di rabbi ‘Akiva si dividevano in due gruppi, di indole differente: alcuni si dedicavano con diligenza ai loro studi e si trattavano fra di loro con affetto e stima reciproca. Essi sopravvissero all’epidemia e contribuirono con il loro studio a mantenere sempre vivo lo spirito della Torà. Ancora oggi giunge fino a noi il ricordo luminoso dei loro nomi e dei loro insegnamenti.
Fra gli studenti dell’altro gruppo non c’era né stima, né affetto reciproco, perciò furono annientati; il loro destino fu segnato dall’epidemia che li colpì.
L’insegnamento che possiamo trarre da ciò che accadde ai suoi allievi. È reso meglio dalle parole di rabbi ‘Akiva stesso: «L’ahavàt Israèl, l’amore per i nostri correligionari, è il grande principio della Torà» (Talmùd Yerushàlmi Nedarìm 9, 4).
(Saggio basato sul messaggio pronunciato del Rabbe di Lubavitch in occasione di Lag ba-‘Omer 5713; tradotto in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal)
©Natalia Kadish
Durante i quarantanove giorni che intercorrono tra Pèssach e Shavu’òt (La festa della Promulgazione della Torà) si tiene la Sefiràt Ha’òmer (il Conteggio dello ‘Omer). Il trentatreesimo giorno dell‘Omer, chiamato Lag ba-‘Omer, è celebrato con gioia, perché segna la fine dell’epidemia che colpì tanto duramente gli studenti dell’Accademia ove il famoso rabbi ‘Akiva insegnava la Torà.
Tanto la storia della vita di rabbi ‘Akiva, quanto ciò che successe ai suoi allievi, ci reca un messaggio significativo.
Il Talmùd racconta che rabbi ‘Akiva dovette lottare contro molte difficoltà quando decise di dedicare la sua vita allo studio delle Torà. Era giunto poverissimo all’età di 40 anni, senza aver ricevuto mai alcuna istruzione. Un giorno, osservando un foro che il continuo gocciolio dell’acqua aveva scavato nella roccia, disse a se stesso: «La roccia è dura, l’acqua è molle e le gocce sono piccole. Eppure, gocciando senza tregua, giorno dopo giorno, mese dopo mese, l’acqua ha intaccato la roccia! Certamente anch’io, se avrò fermezza e perseveranza, potrò superare gli ostacoli e diventare un Maestro».
Infatti, anni dopo, rabbi ‘Akiva dirigeva un’Accademia ove si insegnava la Torà a ben 24000 studenti!
Questo episodio, classico nella memoria ebraica, dimostra che non è mai troppo tardi per tornare alla Torà e all’osservanza dei precetti. Questo è uno degli insegnamenti che possiamo trarre dalla vita di rabbi ‘Akiva.
Per quanto riguarda i suoi allievi, la loro personalità e il loro comportamento ci danno un’altra lezione.
Gli studenti di rabbi ‘Akiva si dividevano in due gruppi, di indole differente: alcuni si dedicavano con diligenza ai loro studi e si trattavano fra di loro con affetto e stima reciproca. Essi sopravvissero all’epidemia e contribuirono con il loro studio a mantenere sempre vivo lo spirito della Torà. Ancora oggi giunge fino a noi il ricordo luminoso dei loro nomi e dei loro insegnamenti.
Fra gli studenti dell’altro gruppo non c’era né stima, né affetto reciproco, perciò furono annientati; il loro destino fu segnato dall’epidemia che li colpì.
L’insegnamento che possiamo trarre da ciò che accadde ai suoi allievi. È reso meglio dalle parole di rabbi ‘Akiva stesso: «L’ahavàt Israèl, l’amore per i nostri correligionari, è il grande principio della Torà» (Talmùd Yerushàlmi Nedarìm 9, 4).
(Saggio basato sul messaggio pronunciato del Rabbe di Lubavitch in occasione di Lag ba-‘Omer 5713; tradotto in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal)